Burqa per le vie di Milano: è libertà?

Musulmane che vivono in città e turiste sempre più spesso col volto coperto integralmente

Burqa per le vie di Milano: è libertà?

Burqa e niqab. In piazza Duomo, in via Montenapoleone, più ancora che in via Padova o San Siro. Capita sempre più spesso, nelle vie dello shopping come nei quartieri multietnici, di incontrare donne con veli integrali, che coprono tutto il corpo o lasciano scoperti solo gli occhi. La questione dei veli più o meno integrali è tornata sotto i riflettori quando alcuni Comuni francesi hanno vietato il burkini.

Proprio ieri il Consiglio di stato transalpino ha pronunciato un «no», su un caso che ha fatto molto parlare anche in Italia e a Milano. In Regione, due gruppi consiliari hanno annunciato l'intenzione di chiedere alla giunta provvedimenti restrittivi per piscine e impianti balneari. In Lombardia, già da un anno e mezzo, con un apposito regolamento (che non cita il burqa) è stato vietato l'ingresso in ospedali e uffici regionali delle donne integralmente coperte anche nel volto. E qualcuno vorrebbe estendere questa previsione. Da un punto di vista normativo la questione è complessa. I fautori del «no» sostengono che il burqa sia, in teoria, già vietato in base a una legge del '75, la stessa legge Reale che vieta caschi o passamontagna nei luoghi pubblici, «senza un giustificato motivo». Per la lettura opposta, un principio religioso configurerebbe un «giustificato motivo».

I Comuni che hanno adottato divieti o iniziative restrittive hanno speso trovato un argine nelle prefetture. Ma, al di là del caso normativo e giurisprudenziale, il caso è aperto da un punto di vista culturale. Questa è libertà?

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