Una «vergogna» secondo Matteo Salvini; una «cosa prevista e prevedibile», secondo Attilio Fontana; una stranezza senza precedenti secondo il suo avvocato, Jacopo Pensa: «Non avevo mai visto una donazione diventare reato». Sono le reazioni alla decisione della Procura della Repubblica che ieri ha chiesto di portare a giudizio per frode in pubbliche forniture il presidente della Regione. A quasi due anni dall'esplosione dell'emergenza Covid, il governatore della Regione finirà sotto processo per il pasticcio forse più innocuo dei mesi convulsi in cui la caccia ai dispositivi di protezione era divenuta in tutto il mondo una forma di psicosi: quello dei camici che il cognato di Fontana, Andrea Dini, aveva dapprima venduto alla Regione e che poi aveva trasformato in donazione, trattenendo però l'ultima tranche. Col risultato che Fontana aveva deciso di rimborsare di tasca propria al cognato una parte del costo dei camici: e anche per quello è finito sotto inchiesta, avendo utilizzato soldi posteggiati in Svizzera che la Procura sospetta ora essere l'indizio di un reato di autoriciclaggio.
Ma mentre l'inchiesta sui fondi svizzeri del presidente del Pirellone è ancora in corso, in attesa dell'esito delle rogatorie, i pm Paolo Filippini e Carlo Scalas, coordinati dal procuratore aggiunto Maurizio Romanelli, tirano le somme del filone principale, l'inchiesta sui camici dapprima pattuiti e poi in parte regalati da Dini ad Aria: ovvero alla centrale d'acquisto della Regione, il cui ex capo Filippo Bongiovanni viene anche lui candidato dai pm al rinvio a giudizio.
É una decisione che era stata a lungo incerta: di fronte a dati oggettivi (che Fontana non si fosse messo in tasca un euro; che anzi ci avesse rimesso) gli stessi pm si erano interrogati sulla solidità di un processo ingombrante come quello a un presidente di Regione per atti compiuti in momenti terribilmente difficili. Ma alla fine i due pm si sono convinti che Fontana fosse un perno indispensabile dei rapporti tra Dini e la Regione, e che senza di lui l'imprenditore non sarebbe riuscito a fare la retromarcia parziale dagli impegni assunti formalmente con Aria per la donazione dei camici. Quanto accaduto dopo, cioè il pagamento parziale da Fontana a Dini, secondo gli inquirenti non incide sulla gravità della frode. E anzi fa capire come il governatore si sentisse in qualche modo coinvolto dall'operazione, scucendo «allo scopo di tutelare l'immagine politica del presidente della Regione Lombardia, una volta emerso il conflitto di interessi derivante dai rapporti di parentela».
Quando la Procura aveva annunciato la chiusura delle indagini, la prima reazione di Fontana era stata quella di chiedere di essere interrogato per fornire la sua versione: forte anche del fatto che suo cognato Dini avesse spiegato di
avere fatto tutto di testa propria, senza alcun suo intervento. Ma poi in Fontana e nel suo avvocato era prevalsa la convinzione che ormai i giochi fossero fatti, e che la Procura avesse già deciso. Come ieri si conferma.
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