Cronaca locale

Il Capodanno che non c'è batosta finale per la città

Gli hotel chiusi per le feste perdono 25 milioni. Discoteche infuriate per i mini ristori di Conte

Il Capodanno che non c'è batosta finale per la città

La speranza è appesa ai vaccini, chi ha pagato il costo più alto della pandemia (dal punto di vista economico) spera che l'antidoto possa riportare lentamente la città alla normalità, anche se l'incubo di una terza ondata tiene tutti in sospeso. L'ultima batosta del 2020 è il «capodanno che non c'è», la zona rossa era inevitabile ma ha fatto sfumare anche l'ultima possibilità di business per albergatori, ristoratori, mondo delle discoteche. Maurizio Naro, presidente dell'associazione degli albergatori di Confcommercio è anche titolare di un hotel in zona Centrale, «chiuso dal primo agosto, forse riapriremo in primavera quando dovrebbero riprendere fiere e congressi». Il condizionale ormai è d'obbligo. Ad oggi è aperto solo il 10/20% degli alberghi in città, con un tasso di occupazione minimo («il 2-3% delle stanze»), non gli hotel stellati (che hanno spese altissime anche solo di riscaldamento) ma alberghi a conduzione familiare o che possono isolare solo una piccola ala e tenere chiuso il resto. «Vedremo come procederà la campagna vaccinale, se riprenderanno i voli, prima di marzo difficile che valga la pena riaprire, i costi non si sostengono con il turismo nazionale». Il periodo natalizio a Milano non è mai stato da altissima stagione ma «dal 20 dicembre al 7 gennaio il tasso di occupazione era del 50%, con prezzi medi di 100 euro a notte». Naro calcola una perdita media giornaliera pari a 1,5 milioni, 25 milioni per tutto il periodo e «solo per le stanze, il piatto più ricco erano cene e veglioni». L'anno del Covid si chiude con una perdita del fatturato che supera il miliardo («200 milioni di incassi su 1,2-1,3 miliardi rispetto al 2019»). Roberto Cominardi, titolare della discoteca Old Fashion e presidente Silb (sindacato locali da ballo) premette che lo «stop al capodanno» era «un male necessario, da accettare con rammarico, non è un'emergenza solo nazionale». A differenza dell'Italia però «altri governi, come la Germania, hanno finanziato in maniera significativa i settori più colpiti. Noi siamo chiusi da febbraio e lo saremo per oltre un anno di fila ma abbiamo ricevuto mini ristori dallo Stato, e intanto continuiamo a pagare le tasse, abbiamo anticipato le casse integrazioni in ritardo». Il futuro «è nero e ci dispiace che i politici ormai parlino delle discoteche con un sorriso sprezzante».

Il segretario generale di Confcommercio Marco Barbieri ieri ha firmato in prefettura il Patto per Milano che sposta gli orari di apertura dei negozi per alleggerire i mezzi dalle 7 alle 9 e consentire subito il ritorno a scuole del 50% degli studenti delle superiori (e poi fino al 75). «Il mondo delle imprese ha aderito convintamente - spiega -, facciamo un sacrificio adesso per evitare il rischio di un terzo lockdown. Ma ora speriamo che bar e negozi possano riaprire in sicurezza dal 7 gennaio senza più chiudere. Nei giorni di zona arancione hanno riaperto 12mila negozi ma il mondo della ristorazione e le discoteche sono ancora ferme. A dicembre abbiamo registrato un calo dei consumi del 20% rispetto al 2019, da 3,4 a 2,7 miliardi.

E ogni giorno di chiusura dei bar in città vale 11 milioni».

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