«Caro Pisapia, peccato hai voluto essere un sindaco di parte»

«Caro Pisapia, peccato hai voluto essere  un sindaco di parte»

di Carlo Maria Lomartire

Signor sindaco Pisapia, mi permetta, questa volta, di rivolgermi direttamente a lei, giacché ho da esporle una questione che, in un certo senso, è personale. Su «You Tube» è reperibile un filmato del 30 maggio 2011. È la registrazione della sua prima dichiarazione pubblica da neoeletto sindaco. In quella occasione, mentre i suoi fans scandivano «Giuliano libera - libera - libera Milano» (ma da chi?), lei ha ripetuto più volte: «Sarò il sindaco di tutti i milanesi». Quella è stata la sua prima promessa non mantenuta. La trasgressione più grave, perché inficia la sua lealtà istituzionale. Ormai è di tutta evidenza, infatti, che lei compie certe scelte - a questo punto un po’ troppe - tenendo conto soltanto del giudizio che ne daranno non «tutti i milanesi» e neppure tutti i suoi elettori, ma solo la ristretta cerchia dei suoi supporter, i suoi pretoriani ideologici, dei quali a volte sembra ostaggio. L'ultimo caso, tanto clamoroso da sembrare una provocazione, il rifiuto di esporre a Palazzo Marino uno striscione per chiedere la liberazione dei nostri due marò, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone finiti nelle mani della «giustizia» indiana. Evidentemente si tratta di una vicenda che non può interessare un'amministrazione di sinistra, in base al pregiudizio politico, frutto di ottusità, che fra i «compagni» colpisce il reggimento San Marco come altri corpi speciali delle nostre Forze Armate. E pensare che le precedenti amministrazioni di centrodestra - da cui lei, signor sindaco, secondo i suoi fans ci avrebbe «liberato» - non hanno mai chiesto a quale etnia politica appartenessero i cittadini italiani, cooperanti, volontari, giornalisti o lavoratori all’estero, di cui Milano chiedeva la liberazione anche esponendo la loro immagine sulla facciata di Palazzo Marino. Ma, dicevo, questo è solo l’ultimo caso, che segue, andando a ritroso, il rifiuto, appena pochi giorni fa, di ricevere i poliziotti che intendevano manifestare il loro dissenso per la nomina di un ex terrorista a dirigente del Comune. Perché prima, appunto, lei aveva promosso a capo di gabinetto del vicesindaco, quel Maurizio Azzolini che il 14 maggio 1977 era stato fotografato mentre in via De Amicis scaricava una P 38 magnum contro un reparto di polizia. E pochi giorni prima, il 10 febbraio, Giornata del ricordo delle vittime delle foibe (nelle quali i partigiani comunisti di Tito hanno gettato e lasciato morire migliaia di italiani dell'Istria), lei si è rifiutato di dare la parola ai rappresentanti degli esuli del Movimento nazionale Istria-Fiume-Dalmazia. D’altra parte quando in più di 300 mila furono costretti dal regime comunista jugoslavo a lasciare quelle terre, in Italia furono accolti con insulti e sputi dai comunisti nostrani, dei quali evidentemente lei sembra condividere il giudizio. Anche i profughi giuliani istriani e dalmati, come i marò del San Marco e come quei poliziotti lasciati fuori della porta, ai suoi fans, signor sindaco, devono sembrare una massa di fascisti. Ai quali non si deve rispetto neppure da morti: tanto è vero che il 2 novembre lei si rifiutò di compiere un gesto di umana pietà anche verso i caduti della Repubblica sociale.

Si è chiesto, in quella occasione, quanti milanesi hanno in famiglia un morto repubblichino? Bastava seguire l’esempio di Gabriele Albertini che, da sindaco, quel gesto di pietà lo compiva togliendosi la fascia tricolore. Mi fermo qui perché come rassegna di scelte faziose può bastare. Scelte che un «sindaco di tutti i milanesi» non avrebbe fatto.

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