Caro sindaco,
mi sento di rispondere al Suo attacco alla Scuola Svizzera in veste di ex-alunno e di genitore. La mia scuola, e sottolineo «mia», in quanto presenza importante negli anni della mia crescita e di quella di mio figlio, è stata ed è tuttora un esempio scolastico da emulare sia in termini di insegnamento che di risultati. Premetto che sono milanese da generazioni e la scuola mi ha indottrinato con la cultura e la storia della mia città, consentendomi di parlare perfettamente quattro lingue. Oltretutto il rapporto di amicizia che si crea all'interno di una classe che affronta un percorso che dura dall'asilo alla maturità, fa sì che gli alunni in difficoltà in alcune materie vengano aiutati da altri, costruendo un lavoro di squadra fondamentale per le relazioni sociali future, esaltando le capacità del singolo individuo. Da anni la scuola è sempre stata aperta a tutti, senza discriminazione alcuna. Essendo molto impegnativa, è ragionevolmente sconsigliata non vietata agli alunni con disturbi dell'apprendimento che farebbero già fatica in una scuola comune, con materie e orari ridotti. Il problema dell'ascensore, se problema si può chiamare, è evidente. La scuola, che ha compiuto i 150 anni, risiede nell'edificio di via Appiani dal 1939, epoca ben lontana dalle attuali normative sull'abbattimento di barriere architettoniche. Mi ricordo che a 17 anni mi ruppi un femore e per due mesi i miei compagni di classe mi trasportarono per tre piani, tutti i giorni. Ma questo sarebbe accaduto in qualsiasi scuola italiana senza ascensore (la maggior parte)! In base a quanto letto sui giornali in questi giorni, mi premeva anche fare chiarezza sulla maturità: la Scuola Svizzera di Milano prepara i suoi allievi alla maturità federale (differente da quella cantonale) rilasciata dalla confederazione e non dalla scuola. Proprio per la complessità di questo tipo di maturità (ai miei tempi portai 13 materie) si ha di diritto l'accesso a molte università «numerus clausus», sia in territorio elvetico che in tutto il mondo.
Concludo, caro sindaco, urlando a differenza sua che «questa è la Milano che voglio», una città libera e liberale, multietnica e civile, dove un genitore possa scegliere come e dove educare i propri figli, fuori da giochetti faziosi e inutili polemiche, augurandomi un giorno che tutte le scuole pubbliche di Milano e d'Italia possano in qualche modo avvicinarsi al modello svizzero, un' eccellenza riconosciuta a livello internazionale. Per questo la invito a settembre per una visita e un caffé. Italiano, ovviamente. Con simpatia,
Francesco Faré
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