Cartelli e slogan contro il «palazzo della morte»

I residenti: bonificare l'edificio abbandonato ora in mano ai delinquenti

Si è tenuto ieri il presidio in via Lattanzio dove si sono radunati i residenti «per protestare contro l'indecente situazione di degrado e criminalità legati al noto palazzo della Morte», spiegano Silvia Sardone, responsabile del dipartimento Sicurezza e periferie di Forza Italia Lombardia e Davide Ferrari Bardile, portavoce dei comitati di zona. «Lo stabile all'incrocio tra Via Lattanzio e Via Colletta - denunciano - è da anni abbandonato ed è diventato una vera e propria favela, occupato da tempo da delinquenti. I 7 piani presentano uno scenario desolante tra rifiuti, aree ristoro, materassi, coperte, macerie, siringhe e veri e propri appartamenti ai piani superiori. Chiunque può accedere e ogni notte sono segnalati oltre 50 occupanti che entrano con una facilità incredibile, senza alcun controllo o barriera chelimiti gli ingressi».I manifestanti si sono radunati con numerosi cartelli («- parole, + fatti, vogliamo sicurezza »), chiedendo la bonifica totale dell'edificio con sgombero degli occupanti e la chiusura degli accessi, la messa in sicurezza in attesa che lo stabile, se non destinato ad altro uso, venga abbattuto, maggiori passaggi delle forze dell'ordine, un presidio fisso nell'area e l'installazione di telecamere di videosorveglianza nell'area. «È l'ennesimo grido inascoltato dei quartieri di Milano abbandonati, zone che rischiano di diventare invivibili a causa della disattenzione dell'amministrazione che non risponde alle esigenze dei cittadini - aggiungono -. I milanesi aspettano i fatti e non le solite promesse dell'assessore Granelli che solo dopo questo presidio sembra voler intervenire.

Proprio sui temi della sicurezza e del degrado l'amministrazione arancione ha clamorosamente fallito, considerando questi temi non prioritari. I milanesi invece si aspettano un lavoro diverso da chi amministra la città, proprio per questo, sempre più spesso, scendono in piazza per esprimere il proprio disagio».

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