Casermoni, alloggi Aler e bar. Così una zona «malfamata» produce certi abitanti

di Luca Doninelli

I primi due - Emanuele Tatone e il suo autista, Paolo Simone - sono stati uccisi in via Lessona. Qui qualcuno dice, scherzando, che via Lessona delimita le due Quarto Oggiaro: da una parte la «zona vip», con un parco, diversi edifici nuovi, un certo movimento urbanistico, e alcune vie a loro modo preziose, come l'intatta via Aldini, vero documento storico della Milano Anni Cinquanta; dall'altra quello che chiamano «il bronx», che si snoda lungo le vie Trilussa, Satta, De Roberto, Graf, fino alla più famigerata di tutte: via Pascarella, dove tre giorni dopo è stato freddato, all'uscita da una pizzeria, Pasquale Tatone, fratello di Emanuele.
Ho usato, e ne domando scusa, parole come «bronx» o «famigerato», alle quali non credo. Credo invece che in qualunque bronx, anche il peggiore, il numero delle brave persone sia molto maggiore di quello dei delinquenti. Tuttavia non c'è nulla di peggio che bollare una zona urbana come «malfamata» perché lo diventi a tutti gli effetti. L'informazione non riferisce solo i fatti, ma li produce.
Anche le case Aler sono abitate perlopiù da brave persone. Però le case Aler sono spesso il teatro di fatti incresciosi, dallo spaccio fino al delitto. E in via Pascarella troviamo case Aler dappertutto, al 29, al 30, e poi al 33, al 34, al 35. Se però andate su Google e cliccate Milano, Via Pascarella, le immagini che si ripeteranno si riferiscono al 18 e al 20: due casermoni color marrone che dominano la strada con la loro imponenza. Poco distante da lì, all'incrocio con via Trilussa, ho sostato davanti al palo di un lampione circondato di fiori. Pasquale era un malavitoso, questo si sa, ma è anche morto, e io credo che non sia stata solo la paura a mettere lì quei fiori. Anche nel bronx la gente ha rispetto per chi muore.
Qui però, a differenza dell'altro lato di Via Lessona, non si avverte tanto movimento, le novità scarseggiano. Niente edifici nuovi, negozietti vecchi e mal tenuti. Qualche ritocco per evitare crolli, scrostamenti, ma poi nient'altro. I locali portano il segno di una rassegnazione complice, perché tutti sappiamo quanto sono importanti i bar per il controllo di una zona. E quanto sia difficile, per un barista, opporsi. Qui, a detta di chi ci vive, non c'è esercizio pubblico, pizzeria o benzinaio o altro, che non abbia una specie di abbonamento alla rapina. Sembra anche che il controllo del gioco costituisca un affare non da poco. La tv lo reclamizza, esistono reti televisive dedicate, locali con molte vetrine. Ma chi paga? Un amico residente in loco mi racconta com'è cambiata la malavita - prima solo italiana, oggi mista - nella zona. Il triplice delitto ha scioccato tutti, dice, ma la zona tutto sommato è meno pericolosa rispetto a quindici, vent'anni fa: allora, ironizza, trovavi guai anche senza cercarli, adesso devi andarteli a cercare. I fratelli Tatone non erano due tranquilli cittadini. Poi l'amico smette di ridere. Abita qui da sedici anni, sua moglie è nativa del quartiere, ma i figli vanno a scuola lontano, frequentano compagnie di altre zone. È stata una scelta sofferta, dice, ma alla fine non ce la siamo sentita di vederli crescere in un quartiere in cui a farla da padrona è la strada. Un tempo, spiega, c'era un prete combattivo, che provò ad affrontare la situazione a muso duro, accettando le conseguenze: gomme bucate, presepi sfasciati, vetri rotti e incontri ravvicinati con i familiari di ragazzi che aveva osato rimproverare. Ma adesso questo prete se n'è andato, e la parrocchia non sembra più offrire una vera alternativa alla strada.
Certo, per quanto male si dica dei preti, alla fine nei luoghi di emergenza sociale chi ci mette la faccia, soprattutto in difesa dei giovani, sono loro. Il grande problema non è di ordine pubblico ma educativo.

Come si formano, come maturano le persone in certi quartieri? Chi trasmette loro i valori, gli ideali necessari per affrontare la vita? Se per migliorare la vita di tutti occorre prendere qualche pugno in faccia, chi si fa avanti?
Più che la pericolosità è la tristezza a colpire, a farci male. Ce lo ha insegnato la storia: è l'uomo che fa la città. Ma per questo ci vuole coraggio. Quando, viceversa, è la città (o la zona, o il quartiere) a fare gli uomini, allora cominciano i guai.

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