Caso derivati Per i giudici Palazzo Marino fu spericolato

Alla fine, si può andare per esclusione. Se nel brutto affare dei derivati la colpa non è delle banche, allora di chi è la responsabilità del buco creato alle casse di Palazzo Marino attraverso l'uso assai poco accorto di uno strumento così complesso quale un derivato? La risposta la danno i giudici di appello nelle motivazioni della sentenza con cui hanno assolto le grandi banche d'affari e i loro manager, finiti nell'inchiesta sul prestito obbligazionario costato al Comune diverse centinaia di milioni. Dunque, se gli istituti di credito hanno «rispettato la legge» - così scrive la corte - allora qualche cautela in più avrebbe dovuto assumerla l'amministrazione pubblica, che con i sindaci Gabriele Albertini prima e Letizia Moratti poi avallarono un'operazione spericolata per i bilanci dell'ente, e lo fecero scommettendo «con il denaro dei cittadini facendo loro assumere rischi dannosi e inutili».


«Non sarebbe dovuto accadere - concludono i giudici - che un ente territoriale e non un minuscolo Comune di provincia bensì il cuore economico pulsante della nazione, affiancato da uno studio legale di grande prestigio giungesse al perfezionamento dell'operazione in strumenti finanziari del giugno 2005 senza il supporto e l'ausilio di un advisor indipendente per la componente economico-finanziaria (che esulava dalla competenza strettamente legale) e vi giungesse consapevole, per libera scelta, nella più che legittima convinzione di avere al proprio interno professionalità all'altezza dell'arduo compito». I fatti, dice in sostanza la Corte, dimostrarono il contrario.

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