Lo chef Bocchia va a caccia dell'"Essenza dell'invisibile"

In un libro il racconto degli anni di ricerca tra la fisica e la gastronomia per creare la sua cucina molecolare

Lo chef Bocchia va a caccia dell'"Essenza dell'invisibile"

Giannino della Frattina

nostro inviato a Bellagio

Prendendo in mano L'essenza dell'invisibile, si ha l'impressione di essersi imbattuti in un testo di filosofia teoretica. O di fisica quantistica, almeno fino al momento in cui si viene soccorsi dal sottotitolo «Capire la cucina molecolare» e ancor più dalla firma di Ettore Bocchia che ha il suo regno stellato (Michelin) al Grand Hotel Villa Serbelloni dell'incantevole Bellagio.

Perché quando si esce a cena si possono fare due cose: trangugiare in più o meno piacevole compagnia del cibo, oppure (almeno tentare di) utilizzare le papille come «meravigliosi strumenti per entrare in sintonia con il mondo». Esagerato? Forse no, a leggere le 119 pagine edite da Aliberti con prefazione di Gianfranco Bucher e primo capitolo di Luca Sommi che ricorda Goya, quando nominato direttore dell'Accademia di san Ferdinando disse che «nella pittura non ci sono regole». L'opposto di Bocchia che ha «solo regole». A partire dalla geometria, perché «se un piatto è disordinato, mette la persona in una condizione di disagio». E allora ecco il quadrato inscritto nel tondo e la croce a sezionarlo. Canoni che ricordano le Città ideali dell'Umanesimo e le architetture di Leon Battista Alberti. Troppo? Ancora forse no, se alla base c'è la regola aurea, la pietra filosofale che trasfigura tutta la cucina di Bocchia: bisogna mangiare ingredienti «ancora vivi». Perché «quando scelgo un prosciutto devo sapere cosa ha mangiato, possibilmente proteine vegetali e non animali. Se l'animale è stato trattato bene o male», perché la carne ne risente. «La differenza sta tutta lì, nel sentire l'essenza dell'invisibile». E a proposito di fisica quantistica, ecco Max Planck: «Tutto è coscienza e da essa tutto emerge». E la chiosa di Bocchia: «La mia realtà si è arricchita con la consapevolezza dell'importanza del prodotto: il percepire l'armonia con la natura, il fermarsi del tempo».

Premesse perché i gusti primari (dolce, salato, acido e amaro) siano sempre «in perfetto, millimetrico equilibrio». E poi texture e punti di fusione. La cucina molecolare? Semplice, almeno per lui, «quando mettiamo l'acqua a bollire coinvolgiamo le molecole, così come quando buttiamo la pasta, che da secca diventa gelatinosa, coinvolgiamo le molecole». Gli studi con l'Università di Parma e nel 2002 «l'approccio logico-texturale» per cui ogni piatto deve avere «una componente fondente, una liquida e una croccante». Metafisica della pastasciutta? Ma no. O almeno non solo, perché poche pagine dopo c'è la ricetta del perfetto spaghetto, fatto «risottando» la pasta che con una cottura di 16 minuti, ne deve trascorrere un terzo in padella. Imperdibile il racconto della «cottura negli zuccheri fusi» che produce rombo, protetto dalla foglia di porro per mantenerne la consistenza del pesce crudo. Ma anche l'azoto liquido entrato nel 2001 a Villa Serbelloni con il «Gelato Estemporaneo» dedicato a Filippo Tommaso Marinetti e alle ricette futuriste: una crema fredda su cui si versa l'azoto, miscelandolo con una frusta per farlo freddo e non ghiacciato ed evitare di anestetizzare le papille. Tutto secondo regola, perché una cosa è «perfetta nell'imperfetto quando rispecchia la natura».

Non resta che cimentarsi con le ricette: Risotto allo zafferano, Costoletta di vitello alla milanese o i più impegnativi Brodo di ciliegioni e meringa al limone molecolare, crema al limone, punta di menta e limonella, meringa croccante e fiori eduli o il Raviolo aperto con pasta alla lecitina con intingolo di pesce, broccoli verdi e brodetto di scampo.

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