Non sono di sinistra, non sono soddisfatti, non sono violenti. Un primo identikit lo si costruisce così, per esclusione. I Forconi, oggetto misterioso delle piazze italiane, non rispondono ai parametri della politica e sfuggono all'analisi dei sociologi. E lo sanno.
In piazzale Loreto, centro della protesta milanese, alle tre del pomeriggio sono poco più di un centinaio. Una piccola folla composita e compatta. Eterogenea ma non variopinta. Esclusi simboli e colori politici, vietate le bandiere se non sono italiane, su tutto domina il tricolore. Chi sbucasse dalla metropolitana inconsapevole di trovarsi di fronte a una manifestazione li scambierebbe tranquillamente per una folla di tifosi italiani in festa per un successo ai Mondiali. Anzi, arrabbiati per una sconfitta, magari dipesa dall'arbitro. I cori prendono in prestito ritornelli e cadenze dello stadio, gli slogan rappresentano un mondo completamente estraneo non solo all'ideologia ma anche al linguaggio della politica, considerata alla stregua di una parolaccia. Sono un magma confuso e senza nome.
Fra loro, poche cose in comune. Fra queste la delusione. O la rabbia. Ma al sesto giorno di presidio, l'umore prevalente nel piazzale non pare affatto capace di sfociare in disordini. «Chi dice che siamo violenti vuol metterci in cattiva luce» assicurano. Procedono compiendo una sorta di girotondo, di semaforo in semaforo, invitano gli automobilisti a unirsi a loro. Questi pazientano, qualcuno scende. Alle 16 sono già duecento. In gran parte giovani o giovanissimi, rifiutano l'etichetta di Forconi: «Siamo tante sigle, questa cosa è partita da un mese e mezzo. I Forconi sono solo una sigla, in Sicilia. Ma ce ne sono tante altre». I loro genitori o nonni sono normali democristiani, missini, radicali. Comunisti anche, ma la sinistra non riscuote molte simpatie o fiducia. Davide ha votato una volta Pds, una volta per Di Pietro ma è deluso. Invoca un cambiamento culturale profondo e a tutti i livelli, non sono politico. «Anche se vincessi il Gratta e vinci resterei qui in piazza». Mauro è un piccolo imprenditore, settore cialde per il caffè: «Per essere qui ho rinunciato forse a 200 euro». Vito imprenditore lo era un tempo, è diventato dipendente. Ha votato per Forza Italia e non esclude di tornare a farlo. «La prima cosa da fare è abbassare le tasse» assicura. Ha una bella famiglia, è sereno e sorridente. Porta sul cellulare un'immagine di Madre Teresa.
Cosa chiedono? Tante cose, spesso contraddittorie. «Lavoro». «Cambiamento». «Onestà». Una studentessa sogna il «sindaco d'Italia». Con quale obiettivo? «Una rivoluzione - sorride l'amico - ma non quella dei comunisti». «Una rivoluzione civile». «Il nome della lista di Rifondazione e Ingroia?». La loro popolarità qui sembra sottozero. Il «tutti a casa» lo vedono così: «Serve gente nuova al governo». Anche inesperta? «No, preparata». «Nuova ma diversa». Giudizio sospeso e scettico su Matteo Renzi: «Vediamo che propone». Il nuovo segretario del Pd non è un beniamino di Loreto. Beppe Grillo divide, ma qui vanta ancora tanti fan. Astensione e 5 stelle si contendono il piazzale. «Quelli del Movimento 5 stelle sono uguali agli altri, almeno una parte di loro» osserva un ragazzo. «No, chi dice così non è informato. Io li ho seguiti, ci hanno provato» ribatte l'amica. Gli eletti grillini in piazza non ci sono perché c'è la destra estrema.
Alle 17 sono 300. La folla di Loreto è un magma di umori, anche cupi. Il nucleo di servizio d'ordine, riconoscibile dalla pettorina, risponde a Forza Nuova, presenza rilevante ma defilata. Altri militanti organizzano un gazebo con caffè e vin brulé. «Non ci hanno isolato», spiega un dirigente locale con Marco Mantovani, segretario milanese del partito. «Ci hanno chiesto di non portare lo striscione con sfondo nero. E abbiamo cambiato colore.
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