Di sicuro c'è che questo tira e molla sull'abolire e poi resuscitare le Province si sta trasformando nel solito gran pasticcio all'italiana. E ancor più a Milano, dove a complicar la faccenda c'è anche la nascita di quella città metropolitana promessa da decenni e mai realizzata. Con il paradosso che se il disegno di legge varato ieri dal governo «per le riordino delle funzioni delle province in attesa che venga approvato il disegno di legge costituzionale che le abolisce» rimarrà invariato, avremo un semestre bianco di convivenza tra Giuliano Pisapia, sindaco della città metropolitana e Guido Podestà ancora presidente della Provincia. Perché il testo prevede che per i primi sei mesi, l'unico compito di Pisapia insieme agli altri sindaci sarà stendere lo statuto.
Ma la vera polemica nasce dal fatto che «il sindaco metropolitano - si legge - è il sindaco della città capoluogo. Il consiglio è costituito dai sindaci dei Comuni con più di 15mila abitanti e dai presidenti delle Unioni dei Comuni con 10mila abitanti». Caustico il commento del presidente del consiglio provinciale Bruno Dapei: «L'unica vera innovazione è che si passa dal Porcellum al Provincellum e mentre discutiamo se rimettere le preferenze, risolviamo il problema abolendo l'intera scheda elettorale». Facendo notare che se il bilancio di una Provincia come Milano raggiunge il milione di euro, «è meglio gestirlo rispondendo agli elettori che alle segreterie di partito».
Dubbi sulla legittimità di un sindaco metropolitano scelto per decreto e non eletto, ha manifestato anche il governatore Roberto Maroni che per Milano parla di un «ribaltamento» del voto popolare che aveva eletto un esponente di centrodestra e si ritroverà invece un primo cittadino di sinistra come Pisapia. E interrogato sulla possibilità di un cambio già a gennaio, si dice dubbioso perché «la democrazia impone il rispetto delle regole». Scontata, invece, la soddisfazione del Comune da dove l'assessore all'Area metropolitana Daniela Benelli saluta con soddisfazione il primo gennaio 2014. «La conferma - spiega - della bontà del percorso intrapreso da Milano che poco meno di una settimana fa, nonostante la pronuncia della Consulta, ha convocato la prima Assemblea dei sindaci dell'Area metropolitana per ragionare sulle funzioni del futuro ente e non arrivare impreparata». Una posizione che non piace anche all'interno del Pd, da dove il vice presidente del consiglio provinciale Roberto Caputo parla di «confusione istituzionale che regna sovrana e si può dire, in questo caso, che si dà un addio alla Grande Milano». Non solo. «È singolare osservare - aggiunge Caputo - che il Comune, invece, appoggia questa scelta e si distacca dalla Provincia. Questo dissidio istituzionale certo non serve né ai cittadini né al territorio».
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