Cattive notizie per gli inquilini che, in numerosi caseggiati milanesi, si battono contro il rischio di vedersi sorgere in cortile dei piccoli ecomostri davanti alle finestre del bagno. Il Tar ha dato torto al Comune che cercava da tempo di opporsi ad un progetto edilizio all'interno del cortile di via Anfossi 14, a Porta Vittoria. E nella sentenza dei giudici amministrativi vengono sanciti dei principi che renderanno più facile attaccare nuovi palazzi a muri di cinta, box e altre strutture che finora facevano da argine contro l'espansione del mattone all'interno dei cortili.
Tutto inizia nel novembre di due anni fa, quando la Lofthouse Real Estate, una società specializzata nella realizzazione di loft di lusso, presenta una Dia - dichiarazione di avvio lavori - per la demolizione, la ricostruzione e l'innalzamento di uno stabile all'interno di via Anfossi, fino a quel momento destinato a laboratorio, utilizzando la normativa regionale che autorizzava le cosiddette costruzioni «fuori sagoma». Visti i prezzi al metro quadro che (nonostante la crisi) girano nella zona, si tratta di un bel business: ma per gli altri inquilini di via Anfossi, e della casa confinante di via Morosini, non è una buona notizia.
Appena una settimana dopo l'avvio della pratica dalla Corte Costituzionale arriva però una sentenza che boccia la normativa regionale sui «fuori sagoma». Ma la Lofthouse non molla, nel febbraio 2012 presenta un nuovo progetto e una nuova dichiarazione di avvio lavori. Ma il Comune blocca anche questa. É vero che il regolamento edilizio comunale permette di costruire appoggiandosi a muri ciechi, sostiene l'assessorato all'Edilizia, ma quelli ai quali il progetto vuole affiancare la nuova struttura non sono affatto muri già esistenti: uno è un semplice muro di cinta, dall'altra parte ci sono solo dei giardinetti e le grate dei box sottostanti. Insomma, i loft andrebbero a sorgere nel bel mezzo dello spazio vuoto che sta tra il palazzo di via Anfossi 12, quello di via Anfossi 14 e quello di via Morosini 22.
Ma davanti al Tar, la società costruttrice si è appellata ad una sentenza della Cassazione, secondo cui va considerata una costruzione «qualsiasi opera non completamente interrata, aventi i requisiti della solidità e della immobilizzazione rispetto al suolo». Anche i box e i muri di cinta, dunque, andrebbero considerati pareti cieche, a ridosso delle quali si potrebbe costruire (la cosiddetta «costruzione in aderenza») senza rispettare i tre metri di distanza che la legge e il regolamento edilizio milanese impongono tra un fabbricato e l'altro. É una norma che, se applicata rigidamente, aprirebbe le porte ad una quantità di nuove costruzioni all'interno dei cortili milanesi. E proprio questa è la prospettiva che il Tar lombardo decide di aprire.
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