Coreografi dal mondo al Piccolo per il festival Aterballetto

Sette spettacoli allo Strehler sulle nuove frontiere della danza

Marta Calcagno Baldini

Un pubblico prevalentemente femminile, 75% di donne tra i 35 e 45 anni, e tanti giovani, fino a domenica riempie la sala del Teatro Strehler: è la quinta stagione di collaborazione artistica del Piccolo Teatro con Aterballetto, la Compagnia di produzione e distribuzione di spettacoli di danza in Italia, prima realtà stabile al di fuori delle Fondazioni liriche, nata nel 1979. Si tratta di una Compagnia peculiare, formata da danzatori solisti in grado di affrontare tutti gli stili e che bene può accontentare un pubblico diverso, nuovo, per un teatro che in genere produce e ospita spettacoli prevalentemente di prosa. Quelli di questi giorni saranno infatti spettatori «complementari», come li ha definiti Sergio Escobar, direttore del Piccolo Teatro, soddisfatto per questa collaborazione ormai quinquennale con Aterballetto: «È bello creare dei rapporti interdisciplinari tra le arti dice-, e gli appassionati di danza sono numerosi a Milano». Anche per coreografi e ballerini l'appuntamento milanese rappresenta un momento importante per la propria carriera: «sono giornate che danno una forte carica ai danzatori» dice Cristina Bozzolini, direttore artistico di Aterballetto. La proposta ha compreso sette spettacoli in tutto: in scena quattro brani firmati da tre coreografi. Philippe Kratz è il giovane (1985) tedesco che ha portato in scena «L'eco dell'acqua» e «#hybrid», mentre Eugenio Scigliano ha firmato la coreografia di «Lost Shadows», un passo a due sulle musiche di Schubert. Il quarto lavoro è «Bliss» di Johan Inger, coreografo di fama internazionale che ha creato appositamente per Aterballetto una danza che ha come colonna sonora un'improvvisazione jazz di Keith Jarrett.

Fino a domenica si riprende con due coreografie di Giuseppe Spota, Bari, oltre a Michele Di Stefano (milanese, 1963) e Jiri Kylian (1947, dalla Repubblica Ceca): se «Lego», di Spota, è una danza che esplora il mondo delle relazioni umane, «Upper East Side» di Di Stefano è un lavoro sulla gestualità dei ballerini nello spazio e l'archittettura dei movimenti.

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