Estate: l'acqua è svago, aperto tuffo di gioia in mari e laghi. Per pochi esseri nascosti è fonte di salvezza in una vasca e una parentesi di libertà. Sangue e morte per i giovani detenuti del Beccaria furono liquidi compagni di strada, che non se ne vanno una volta tra le mura del carcere, anzi si rivoltano contro questi «bambini» che, se nel mondo conficcarono la libertà in una spinta delittuosa contro altri, in carcere cadono vittime dell'impulso autolesionistico, il suicidio, perché carnefice e vittima sono facce della stessa medaglia.
Una piscina tra le mura, una piscina per tenere al guizaglio il mostro di una vita di guerra. Da una quindicina d'anni il Beccaria tenta di allentare le tensioni della reclusione grazie ai corsi di nuoto, sfiatatoio di compressioni psicologiche. Una palestra, un campo da calcio e rugby ma soprattutto la vasca di venti metri per cinque sono spazi in cui i detenuti godono di un tenue riflesso di pace. La serpe della violenza, e in modo particolare dell'autoviolenza, denunciata anche dal cappellano don Gino Rigoldi, non molla mai la presa. «Alcuni di loro non hanno mai avuto un contatto con l'acqua e non conoscono il significato della parola «nuotare» - spiega Antonio Iannetta, direttore della Uisp (Unione italiana sport per tutti) - Facciamo corsi a sette o otto giovani per volta. È un lavoro di forte impegno per i nostri volontari ma porta a buoni risultati». All'interno del penitenziario opera una squadra di istruttori Uisp, intenta a far passare un messaggio: esiste un'interrelazione umana chiamata gioco, un passatempo in cui le persone si divertono e esprimono se stesse pur sottoponendosi a regole.
Nel gioco la legge è una norma da rispettare per amare se stessi e il vicino, traendo benefici fisici e psichici dalla relazione. «È una scoperta fondamentali per questi adolescenti» sottolinea Iannetta. Inquietanti i tentativi di suicidio, di cui uno pochi giorni fa, che ha fatto tornare alla memoria altri casi: un diciasettenne si è dato fuoco in cella, un altro ha tentato di impiccarsi, un altro si è tagliato i polpastrelli in mensa. Lo sport è una medicina per la presa di coscienza di contatti che non siano basati sull'aggressione. «Capitolo davvero complesso, ma indispensabile, è quello dell'arbitraggio: perché in una gara esiste l'arbitro, un uomo al di sopra delle parti che stabilisce il confine tra la giustizia e l'errore? Per gli allievi l'arbitro è una scoperta ardua e un concetto difficile da concepire».
Fenomeni d'ansia patologica fino allo sperdimento della razionalità si verificano nella fase di prima assistenza, ovvero nel passaggio tra la vita esterna e il carcere.
«Nelle stanze che accolgono i ragazzi abbiamo messo tavoli da ping pong, un buon metodo che impedisce il deflagrare di scene inquietanti. L'attività fisica mette in moto sistemi di autodifesa - conclude Iannetta - Stiamo sperimentandola anche nelle carceri per gli adulti. In quello di Bollate teniamo corsi di tennis».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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