Il «corvo» contro le donne in divisa

La Squadra mobile negli ultimi anni si è sempre più tinta di rosa, ben quattro sezioni su otto sono comandate da donne senza contare la vice dirigente e le tante ispettrici. E in questura scoppia la «guerra dei sessi». Mercoledì infatti è apparso nei corridoi un volantino senza firma, con pesanti contestazioni nei confronti delle «cape» definite con maschilistico sarcasmo «le barbie». Testo rimasto in circolazione pochissimo tempo prima che i vertici di via Fatebenefratelli ordinassero l'immediata raccolta dei foglietti incriminati e disponessero l'apertura di un'inchiesta interna per capire chi possa essere la mano, o le mani, anonime.
Un atto d'accusa che, da un certo punto di vista, potrebbe anche essere considerato una sorta di «redde rationem» sessista dopo che nel 1981 fu aperta anche alle donne la carriera in polizia. In trent'anni le poliziotte sono aumentate di numero, molte hanno fatto carriera e nel 2006 a Grosseto è stato nominato questore la prima donna, Maria Rosaria Maiorino, adesso a Foggia. Ora la Squadra mobile di Milano è quasi per metà al femminile, con il numero di dirigenti e funzionari equamente divisi tra i due sessi. Una situazione forse mal digerita in un ambiente maschilista per eccellenza, dove si ha a che fare quotidianamente con sangue e violenza. Che il durissimo atto d'accusa, condito anche da gossip poco eleganti, arrivi dall'interno è fuori di dubbi. Nel volantino infatti sono riportati dati e fatti, alcuni anche molto privati, noti solo a chi opera da anni in un ufficio che negli ultimi tempi ha cambiato radicalmente pelle.
La Mobile di Milano è infatti diretta dall'estate 2009 da Alessandro Giuliano, il figlio dell'investigatore ucciso dalla mafia nel 1979 a Palermo. Ma scendendo nella scala gerarchica troviamo subito una donna come numero 2, quindi altre ai vertici di quattro sezioni e ancora molte ispettrici con vice responsabili. E su alcune di loro si sono appuntati gli strali degli anonimi estensori. Le accuse riguardano sia il lato professionale sia quello umano. Di una si scrive: «isterica, presuntuosa, arrogante... critica il personale senza sapere che critica stia facendo....non si confronta con i magistrati che non la rispettano». Di un'altra: «ha distrutto la sua sezione, ha messo il personale uno contro l'altro, per non essere attaccata per la sua incapacità. Si arroga il merito dei pochi lavori andati in porto, dimenticando il personale che si è sacrificato e così ha ottenuto il trasferimento di validi investigatori».
Di una terza funzionaria si sostiene che l'unico merito sia quello di aver un parente con alti incarichi all'interno dell'amministrazione. Per il resto «è arrogante e presuntuosa. Assolutamente incapace di fare questo mestiere, dannosa per il solo fatto di far parte della polizia. Ha denigrato validi investigatori che hanno sparato domande di trasferimento a raffica». Letteralmente fatta a pezzi un'altra donna in divisa: «la più cattiva tra le “barbie”. Vive per riportare al suo dirigente false situazioni per allontanare i poliziotti che non le vanno a genio oppure hanno il coraggio di dirle in faccia quel che pensano».
Oddio non se la cavano meglio un paio di maschietti, definiti con disprezzo «barbie con i pantaloni», anche loro accusati di incompetenza, superbia e arroganza e di una assoluta incapacità di saper ascoltare i propri collaboratori. Non mancano infine i pettegolezzi piuttosto salaci, del resto molto diffusi in qualsiasi ambiente, con i quali verrebbero spiegate molte carriere. L'anonimo volantino si chiude con l'appello a una sorta di «sollevazione popolare» con l'invito ai diversi investigatori di rivolgersi ai media, ai magistrati e al capo della polizia.
Come detto il foglietto è rimasto in giro pochissimo, poi i vertici della questura hanno disposto la rapida raccolta di tutte le copie e l'apertura di un'inchiesta interna.

Anche perché questa potrebbe non essere l'unica uscita di questa sorta di «Pasquino di via Fatebenefratelli». Il durissimo atto d'accusa infatti preannuncia nuove iniziative eclatanti per tutelare il buon nome della «gloriosa Squadra mobile di Milano».

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