Mario Melazzini, medico, malato di Sla e amministratore delegato dell'Ics Maugeri, intanto come sta?
«Bene, ormai gestisco in ambiente protetto, cioè da casa, tutto quanto. Lavoro dalle 9 alle 20 tra conference call, videochiamate e telefonate. C'è un buon clima di squadra tra manager che lavorano da casa e medici sul campo. Da ex medico e ricercatore vorrei essere in prima fila, ma visto che il mio ruolo è gestionale devo, perché è un dovere, lavorare da casa. Per altri versi non mi dimentico mai il motivo per cui sono diventato medico: in un'emergenza come questa mi trovo a gestire 2.300 posti letto e 6.300 dipendenti in tutta Italia. Anche se lo sforzo maggiore è concentrato in Lombardia».
Avete già dimesso 95 pazienti Covid su 443 ricoverati complessivamente...
«La vera sfida è stata modificare il setting e l'organizzazione dei nostri centri, specializzati in riabilitazione neuromotoria, cardiologica e pneumologica. A Pavia abbiamo 500 posti letto e 1000 dipendenti, nella sede milanese di via Camaldoli 200 posti di cui 120 per subacuti e 20 di medicina generale. Il 21 febbraio mi ha chiamato il dg del Policlinico San Matteo Carlo Nicora e mi ha raccontato di aver bisogno di liberare posti letto per accogliere i primi pazienti Covid. Abbiamo dimesso i nostri pazienti e accolto 150 negativi Covid per la riabilitazione. Poi l'emergenza è arrivata a Milano e in via Camaldoli abbiamo messo a disposizione 120 posti letto per subacuti: ci sono arrivati pazienti dal Policlinico, da San Donato, Niguarda e San Carlo. Ma poi...»
Cos'è successo?
«All'improvviso abbiamo avuto un focolaio interno di pazienti positivi, molti sintomatici. Ne abbiamo trasferiti 48 che non potevano essere gestiti solo con le maschere Cpap, cioè con ventilazione assistita non invasiva, altri li stiamo tutt'ora curando. Di 140 ricoverati, ci siamo trovati 115 positivi Covid».
Cosa significa pazienti che devono fare riabilitazione?
«Attenzione, noi accogliamo pazienti appena usciti dalla rianimazione che hanno ancora bisogno di un flusso importante di ossigeno o di un supporto di ventilazione non invasiva. In un quadro clinico di riduzione della fase acuta iniziano da noi un percorso di stabilizzazione per arrivare poi a un recupero precoce della funzionalità respiratorie».
Gli istituti contano anche due centri in Piemonte, dove la curva dei contagi sta salendo vertiginosamente. E nel resto d'Italia?
«Nei centri di Inveruno e Torino stiamo accogliendo pazienti, mentre in Puglia e in Sicilia al momento ci hanno chiesto solo la disponibilità».
C'è un grandissimo bisogno di posti di terapia intensiva e subintensiva.
«A Pavia abbiamo 100 Covid positivi ancora ventilati, a Lumezzane, vicino a Brescia, abbiamo ricoverato 90 pazienti, ma possiamo arrivare a 120. Le ordinanze hanno portato al blocco dei ricoveri programmati e delle attività ambulatoriali, così abbiamo potuto ricavare posti letto. Abbiamo rimodulato l'organizzazione interna ed è stato bellissimo vedere la disponibilità dei professionisti ad adattarsi alla nuova domanda di salute che da emergenza è diventata la quotidianità».
Che previsioni fa?
«Per i prossimi 3-6 mesi questa sarà l'ordinarietà nell'emergenza».
Qual è il principale ostacolo che avete incontrato?
«La difficoltà a reperire i dispositivi di protezione individuale che per gli operatori sanitari vanno dagli scarponcini ai camici impermeabili: devono essere completamente protetti.
Così avevamo già i ventilatori visto il nostro core business, ne abbiamo recuperati in numero maggiore dal blocco delle sale operatorie, mentre per il personale ci siamo avvalsi della collaborazione del pubblico: alcuni anestesisti e rianimatori sono del San Matteo».
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