"Così intercettiamo i jihadisti che minacciano la Lombardia"

Il presidente delle aziende che svolgono ascolti per i pm: "Controlli su chat, email e siti. E nessuno può sfuggire"

"Così intercettiamo i jihadisti che minacciano la Lombardia"

«Nessun terrorista può sfuggire al controllo. Tutti i dispositivi e tutti i codici sono intercettabili». Almeno in teoria, purché si impieghino i fondi e il tempo necessari. Tommaso Palombo è il presidente di Iliia, l'associazione che riunisce una cinquantina di aziende che offrono servizi e materiali per le attività di intelligence e intercettazioni. Vale a dire, l'«orecchio» al servizio delle Procure e delle forze dell'ordine che indagano - tra l'altro - sui presunti jihadisti. La metà risiedono in Lombardia.

Soggetti che interagiscono via chat. O che si indottrinano sul web. Perché intercettarli è importante?

«Fa tutto parte di un'attività di indagine preventiva. Siamo in un momento delicato per quanto riguarda la nostra sicurezza e in campo c'è una complessa struttura di intelligence, di cui noi siamo un segmento fondamentale, che utilizza tecnologie avanzate. C'è una serie di attività utili ad acquisire informazioni: le intercettazioni, sia quelle telefoniche sia quelle telematiche e di nuova generazione, il gran lavoro dei servizi segreti, l'analisi dei dati. In questo modo si fa prevenzione sul fronte del terrorismo, provando a intervenire prima che certi soggetti realizzino piani cruenti».

Come avviene il vostro lavoro?

«Si è appurato che il modello americano, quello delle intercettazioni a strascico rivelate da Snowden, non può funzionare. Sbagliare a raccogliere le informazioni equivale a non averle. Il fattore umano, che prima seleziona gli obiettivi e poi analizza i contenuti, è irrinunciabile. Occorre quindi investire di continuo su persone e attrezzature».

Ma quali sono i mezzi tecnici a disposizione?

«Oltre alle intercettazioni telefoniche ci sono quelle telematiche classiche. Cioè quelle che monitorano il traffico internet esattamente come si fa con quello telefonico. Attraverso la Rete si possono controllare chat, e-mail e siti visitati. È sufficiente innestare una cosiddetta sonda nel flusso, naturalmente su autorizzazione del magistrato».

Poi ci sono i «trojan».

«Si tratta di un sistema più raffinato, di una tecnica complessa e costosa. I trojan sono virus che vengono inoculati nel pc o nello smartphone del sospettato e ne intercettano i dati persino prima che il dispositivo li cripti. In questo modo lo smartphone può anche essere attivato a distanza per farlo diventare una microspia, che segue e ascolta il soggetto».

Su questo punto ci sono state polemiche giuridiche e sulla privacy.

«Parliamo di persone sotto indagine e di iniziative giustificate e disposte dall'autorità giudiziaria. Queste polemiche non hanno tecnicamente senso: perché un virus nello smartphone è da considerare più invasivo di un'altra attività di indagine come ad esempio una perquisizione?».

I terroristi e i criminali usano sistemi per schermare le proprie conversazioni.

«Certamente, ma sulla carta noi possiamo intercettare e decifrare qualunque informazione. Tecnicamente tutto è possibile in questo settore, è solo una questione di tempo e soldi impiegati. E non esistono barriere all'ascolto insuperabili. Con una paziente e corretta analisi si può aggirare qualunque tecnica di cifratura, persino un codice creato apposta per un singolo criminale».

Chi svolge queste ricerche?

«I privati e le aziende che producono software. Si tratta di sistemi elaborati, che costano 4-500mila euro senza contare l'indispensabile servizio di assistenza e aggiornamento. I migliori sul mercato sono statunitensi e israeliani. Semmai è dai produttori, cioè dall'esterno, che può arrivare una minaccia».

Che vuol dire?

«In linea teorica chi inventa un sistema, può riservarsi una via per invaderlo. Per questo sarebbe più sicuro e in molti casi meno costoso per lo Stato creare un centro interno, una piccola Nsa all'italiana, che si fabbrichi da sé i software».

Anche sulla quantità e sui costi delle intercettazioni ci sono state forti polemiche.

«In passato le intercettazioni sono state demonizzate, anche a causa di cifre che le sovrastimavano. Per quanto riguarda i costi, si tratta di attività complesse e pericolose. Che inoltre rientrano nelle spese che lo Stato può recuperare rivalendosi sui condannati. Le intercettazioni poi permettono tra l'altro, nell'ambito delle indagini, di sequestrare miliardi di euro. Piuttosto c'è da sottolineare che le aziende che le effettuano vengono pagate dalle Procure con ritardi cronici, che spesso superano i 120 giorni.

In molti casi siamo costretti ad anticipare decine di migliaia di euro, a ricorrere a materiali di minore qualità, a spendere meno per la ricerca. O addirittura a chiudere. Tutto questo contro ogni buonsenso, soprattutto in un momento in cui bisognerebbe investire al massimo nel contrasto a terrorismo classico e cyber terrorismo».

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