Cova, un «dolce» successo che dura da oltre due secoli

Paola e Daniela Faccioli, che ancora gestiscono la storica pasticceria di Montenapo, raccontano il locale. Dal 1817

Cova, un «dolce» successo che dura da oltre due secoli

La manager Anna Bonomi Bolchini con la sua argenteria e le battute al vetriolo della borghesia concreta; la divina Maria Callas mentre muove istrionica le mani ingioiellate in attesa di essere servita, la Lina (Sotis) che cambia quartiere e va a vivere a Brera ma vuole sempre «il cappuccio più buono d'Italia» come le preparava Otto, il direttore della pasticceria «Cova» di Montenapo che, come dice lei, «sembrava un lord che ti offriva un trono, non un dipendente che ti serviva la colazione». E poi le foto di Verdi, Puccini, Mascagni, Toscanini, ma anche quelle con le ruote della bici piene di delizie gourmet, in onore di quel Mario Faccioli che, da ragazzo, veniva a lavorare a Milano pedalando, dal Pavese. Senza dimenticare Ernest Hemingway, che in Addio alle Armi compra i cioccolatini e beve un Martini liscio. Sembra un paradosso, ma non è facile descrivere una storia di successo che dura da 200 anni, come quella della pasticceria «Cova», se per buona parte è anche opera tua. Perché ci hai messo dentro il cuore, l'anima, troppo tempo, tanti pensieri. Finché, anche quando avevi deciso - un po' per umana stanchezza, un po' per una di quelle offerte impossibili da rifiutare - che potevi lasciarla andare, in qualche modo ti ci sei ritrovato di nuovo dentro fino al collo. Felicissimo di essere esattamente lì, a «combattere» ancora per quel sogno realizzatosi così oltre le tue aspettative, con un posto d'onore nel mondo e sempre in mezzo agli amici di una vita. Racconta un po' tutto questo l'atmosfera che si respirava ieri mattina al «Cova Garden», in via Montenapoleone 8, per la presentazione del volume edito da Assouline Cova, Montenapoleone 1817, illustrato dal fotografo Giovanni Gastel e dal collega tedesco Harald Gottschalk (prefazione di Alain Elkann). Sul viso delle autrici - le sorelle Paola e Daniela Faccioli, che ancora gestiscono la storica pasticceria nata in piazza Scala due secoli fa, gestita dal 1977 all'indirizzo diventato il più prestigioso del Quadrilatero dal loro papà, il sciur Mario e rilevata nel 2013 per oltre 32 milioni di euro dal colosso francese del lusso di Bernard Arnault, Lvmh - l'emozione spontanea e visibile dell'incredulità quando, alle 10.34, con abito blu e camicia bianca, si materializza il genitore. «Il papà...Non era previsto» sussurrano quasi all'unisono le due signore, alzandosi in piedi in una sorta di timore reverenziale e di rispetto, come si fa davanti alle istituzioni. Proprio in quel momento Gastel stava parlando agli ospiti, insieme al direttore di Novella 2000 Roberto Alessi, di suo zio Luchino Visconti. Il grande regista vedeva nella maniacalità, nella disciplina ma anche nella passione di chi gestiva il «Cova», un vero e proprio «metodo» per il successo. «Quello che cerco di insegnare anche ai miei allievi, ai giovani - sottolinea il fotografo -. Se fai una cosa devi farla bene, senza pensare a lauti guadagni e all'affermazione personale, ma solo applicandoti, aderendo al tuo progetto in maniera certosina. Solo così potrai fare magari un po' meglio degli altri. E allora arriveranno anche successo e denaro».

Faccioli racconta come il suo segreto, di uomo di mondo ma anche di oste, consista nell'aver sempre «fatto da spugna, da carta assorbente nei confronti degli altri, cercando di carpire il meglio». E davanti al futuro, cioè alla nipote Francesca 22enne impegnata in un master in International business a Miami e al passato «sempre presente», una Lina Sotis spumeggiante («Io e Mario? Ci conosciamo da una vita.

Lui ha preso un mito e ne ha fatto uno stra-mito, all'epoca nessuno ci avrebbe scommesso»), ricorda sorridendo quei 420 grammi di cambiali rilevate dal notaio per comprare il locale di Montenapo. E della Bolchini che scherzando (ma neanche tanto) gli disse Uè, ti fa minga il pirla, che te compri cui dané che gò in sacocia.

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