La crisi ci toglie anche le voci Doppiatori milanesi alle corde

La crisi ci toglie anche le voci Doppiatori milanesi alle corde

Sono invisibili e, a modo loro, sono dappertutto. Come forse solo gli dèi. «Prestano le voci» - così gradiscono che si dica - ai volti di Hollywood, alle star dei cartoni animati, alle lapidarie «frasi da pubblicità». I doppiatori italiani hanno due capitali: Roma e Milano. E, se i film di circuito, gli attori più famosi d'oltreoceano sono distribuiti quasi esclusivamente a Roma, anche Milano fa letteralmente sentire la sua voce. Patria (sonora) di telefilm, serie d'animazione cult, soap-opera che hanno fatto epoca: «Ultimamente affidano un po' di cinema anche a noi», spiega la doppiatrice milanese Patrizia Salmoiraghi (tra le altre, la «voce misteriosa» di Caterpillar, Radio Rai2). «Finalmente stanno capendo che siamo bravi quanto i colleghi romani. Per molto tempo, siamo stati considerati “figli di un dio minore”». Eppure Milano ha dato i natali ad Antonio Colonnello (la mitica voce di Fonzie), Renato Mori (Morgan Freeman), Roberto Del Giudice (l'incorregibile Lupin), Veronica Pivetti (tuttora, tra l'altro, doppiatrice) e Cristina Boraschi (Julia Roberts). Che vita è quella di un doppiatore? Che formazione richiede e che mercato ha? La retribuzione di queste «creature del buio» parte anche a Milano dai «gettoni di presenza»: un'entrata fissa di 72, 71 euro per il doppiatore che viene scritturato per un ruolo. Il resto delle tariffe si basa sulle «righe» recitate (una riga singola 1,54 euro per i cartoon; 2,34 per i film). Un direttore di doppiaggio - il vero e proprio regista dell'edizione italiana - viaggia sui 167 euro a turno (un turno di circa 3 ore). Queste, almeno, le cifre del contratto nazionale, cioè il minimo sindacale assegnato a questi professionisti. «Ci sono poi colleghi con più o meno potere contrattuale - prosegue Salmoiraghi - ma si tratta perlopiù delle “voci ufficiali” di qualche grande attore».
Guai a chiamarli «doppiatori di Milano», i doppiatori di Milano. «Siamo attori italiani»: sono perfettamente d'accordo Simone D'Andrea (una delle voci italiane di Colin Farrell e Orlando Bloom) e Patrizio Prata (eroe vocale di Dragon Ball e Pokemon, tra gli altri). Sono spesso in trasferta nella capitale, ma sono nati e si sono formati a Milano. «Da bambino - racconta Prata - volevo diventare una “voce”: non sapevo cosa fosse il doppiaggio e già volevo farlo. Giocavo solo con registratori, giradischi e microfoni, ma avevo il terrore della corrente, così chiedevo a mio fratello di inserire le spine elettriche nella presa. Oggi, lui è un elettricista. E io un doppiatore». I suoi colleghi che vivono a Milano sono meno numerosi di quelli di Roma. «Alcune fasce, per esempio non sono coperte - prosegue Prata - e i ruoli dei bambini, a Milano, sono interpretati spesso da donne adulte».
Mestiere che qualcuno, nel settore, paragona agli artigiani del vetro di Murano: professione che tende ad essere tramandata da sempre di padre in figlio. «Io - dice Simone D'Andrea - ho iniziato a doppiare a 17 anni.

Se lo consiglierei a mio figlio? Può darsi, ma non a Milano. Milano è una città ricca di talenti, nel doppiaggio, ma questi talenti sono penalizzati. C'è sempre meno lavoro. Chi lo sa il perché? Forse anche ragioni politiche...».

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