Cronaca locale

Curiosando tra le copie del «Fermo e Lucia»

Non sono in molti a saperlo, ma fra i tanti tesori del Museo dei Cappuccini di via Kramer 5 c'è anche un piccolo, delizioso angolo manzoniano: vi sono conservate, fra l'altro, le prime prove di stampa del romanzo, oltre alla «Quarantana» illustrata da Francesco Gonin e un'altra illustrata, altrettanto ricercata, del 1887. C'è poi l'edizione del 1900, con quasi 300 fra disegni e tavole di Gaetano Previati, vincitore del concorso bandito ad hoc da Hoepli.

Sempre in tema di romanzo, ecco una rara edizione del Fermo e Lucia e dei Promessi Sposi con raffronto interlineare. Fra le curiosità, un dagherrotipo di Alessandro Manzoni corredato da una ciocca di capelli e dalla firma autografa, una stampa del convento di Porta Orientale e una Madonnina del Lazzaretto, probabilmente della bottega del Rossellino, donata ai frati Cappuccini dopo la soppressione del Lazzaretto di Milano.

Una sezione da vedere, in una delle prossime giornate di apertura, magari proprio in autunno, stagione manzoniana per eccellenza. Di norma il museo resta aperto un sabato al mese (il prossimo è il 21 novembre), poi ci sono le aperture straordinarie come quelle di fine ottobre, quando, in occasione delle giornate di Insieme a San Francesco oggi, Opera San Francesco ha organizzato il giorno 24 la tavola rotonda «Cibo e carestia nella Milano manzoniana». Una preziosa occasione per ripensare al nutrimento del corpo, con l'aiuto di un grande milanese del passato, proprio mentre sfumano i riflettori su Expo 2015. Dalla polentuccia scodellata con rassegnata mestizia in casa di Tonio ai sopraffini banchetti del Conte Zio e degli altri potenti, passando per la scorpacciata di stufato e vino sincero di Renzo alla Luna Piena -con tanto di fatale hangover -, le mille anime sociali che danno vita al romanzo si rispecchiano nel cibo o nella sua mancanza: la si intuisce già nel IV capitolo, quando frate Cristoforo esce di buon mattino e si imbatte in «mendichi laceri e macilenti spinti dalla necessità a tender la mano» e in una fanciulla scarna china a rubare un po' d'erba alla «vaccherella magra stecchita». Scoppia in tutta la sua virulenza in una Milano trasfigurata dalla fame di pane. Si placa del tutto solo alla fine della storia, tra il Lazzaretto, dove Renzo siede davanti a una scodella, e il matrimonio, con l'agognato pranzo di nozze offerto dal marchese subentrato a don Rodrigo.

L'analisi è partita dallo splendido capitolo XII, in cui Manzoni si interroga su come scoppia una carestia, applicando, ha sottolineato Alessandro Pavarin dell'Istituto di Studi Politici San Pio V, il pensiero economico ottocentesco alla realtà di due secoli prima. Gianmarco Gaspari, dell'università dell'Insubria, ha riflettuto su Pane e giustizia, prendendo spunto dalle ingannevoli promesse del governatore Ferrer, mentre Giovanna Tonelli, della Statale, ha spiegato come mangiavano Renzo, Lucia e compari, dai famosi capponi per l'Azzeccagarbugli alle noci di Fra Galdino, senza tralasciare lo stracchino e il «vin buono» di Gorgonzola (cap. XVI). A ciascuno la sua vivanda, insomma.

O la sua carestia.

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