Dico no, è statalismo dei diritti

di Matteo Forte

Tre giorni d'aula per approvare il registro delle unioni civili. A detta dello stesso Majorino, si tratta di un palese uso strumentale del Comune, segnato dal tentativo ideologico di portare avanti l'istituto del matrimonio omosessuale a livello nazionale. Dietro c'è la solita logica statalista della sinistra. L'atto amministrativo si intromette pesantemente in una sfera dentro la quale non dispone di nulla. Nei fatti si mette in discussione il paradigma su cui è costruita la nostra civiltà: la famiglia come luogo aperto alla vita e come prima realtà in cui la persona sviluppa la sua dimensione relazionale. Con l'affermazione dell'istituto giuridico del matrimonio omosessuale la prima caratteristica viene meno. E hanno un bel dire gli attivisti quando sostengono che anche loro sono in grado di generare figli, perché per farlo necessitano in ogni caso di un partner di sesso differente, che si tratti di procreazione naturale o artificiale, di un donatore di seme o di una donatrice di utero. Per quanto riguarda lo sviluppo della dimensione relazionale della persona, pur costituendo uno dei principali argomenti di chi vuole riconoscere giuridicamente qualunque tipo di vincolo affettivo, siamo tutti esposti anche qui a grandi rischi. Infatti il riconoscimento pubblico di una relazione omosessuale è sostenuto da un pensiero e da una dottrina fortemente individualistiche. Cos'altro è l'idea che il dato sessuale è qualcosa di meramente prodotto dalla volontà del singolo (e quindi sempre suscettibile di mutamenti) se non un principio individualista? E che dire del richiamo pretestuoso al diritto alla vita privata, alla privacy familiare, cui fa riferimento la delibera consiliare, citando strumentalmente l'art. 8 della Convenzione europea? Una simile argomentazione porta con sé dei chiari connotati culturali, secondo i quali la volontà del singolo è il valore assoluto che non deve trovare limitazione alcuna – tanto è vero che si parla sempre e solo di «diritti civili» e mai di «doveri». Ciò trasforma il principio dell'uguaglianza, che è il cuore di ogni sistema democratico moderno, nel dovere del legislatore a non compiere differenziazioni giuridiche. Il risultato è che il legislatore «produce» artificiosamente l'uguaglianza, livellando le differenze. Si badi bene: nessuno oggi nega che una persona sia libera di stringere un vincolo affettivo con un'altra dello stesso sesso. Si discute invece della necessità di un intervento normativo che equipari quel vincolo al matrimonio tra un uomo ed una donna, in nome del diritto alla vita privata.

Insomma, quello che in tutte le Carte costituzionali e in tutte le Convenzioni internazionali, sorte dopo l'esperienza drammatica dei totalitarismi del Novecento, era concepito come limite all'invadenza dello Stato nella sfera esistenziale di ciascuno, oggi paradossalmente diventa il pretesto per un intervento a gamba tesa di chi detiene il potere. Quello del riconoscimento giuridico delle unioni di fatto è l'esempio di uno statalismo di ritorno, dal quale si deve guardare bene chiunque si dica liberale.

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