Don Mazzi, con Dio al Parco Lambro

Parla della castità: «Mi sono rifiutato a prostitute della stazione e della tv»

Sabrina Cottone

«Non avrei voluto nemmeno fare il cristiano, rancoroso con Dio che mi aveva rubato il papà. Avevo appena due anni». È uno dei momenti più personali della prima autobiografia di don Antonio Mazzi, «Amori e tradimenti di un prete di strada», in libreria da oggi per le edizioni San Paolo. «Il mio Dio è il Dio dell'alluvione del Po, di Primavalle, del Parco Lambro, della Stazione Centrale. Un Dio confuso tra latrine, sottopassi, siringhe, discoteche, roulotte, urla» dice a 88 anni e non sono iperboli. Come «la mamma, santa, troppo santa», «i crampi della fame» in guerra, «i libri pericolosi» in gioventù, le domande a Dio quando arriva il pacemaker.

Nato a Verona nel 1929, il nome dell'educatore don Mazzi è legato prima di tutto al tentativo spesso riuscito di salvare i ragazzi caduti nella tossicodipendenza e nel disagio al Parco Lambro, dove è nata la comunità Exodus e continua a trovarsi la casa madre, che poi ha figliato in giro per il mondo.

Per chi cerca fioretti è un'antistoria, dove si trovano episodi come questo: «Non so cosa sia il sesso. Mi sono sempre rifiutato, anche davanti alle più grosse, sia belle che brutte, prostitute della stazione e della televisione». Ecco, l'autobiografia di don Mazzi ha molto da dire sul filone interiore, sull'attacco al fariseismo di chi si sente sempre a posto perché non è in strada a drogarsi o prostituirsi.

Non mancano le provocazioni: «Non ho mai obbedito ai superiori, ma solo e sempre ai ragazzi». Che poi chissà che ne direbbero nella Congregazione dei Poveri Servi della Divina Provvidenza, fondata da san Giovanni Calabria, di quest'uomo reo confesso di voler «riscoprire l'uomo che non conta, lo scartino, lo smarrito», che non prova alcun disagio «a trovarsi alle tre della notte in Stazione Centrale a parlare con una prostituta, o in tv con Mara Venier, o sull'Aspromonte con una comunità di eroinomani».

Consolazioni. «Ho trovato la vera famiglia a cinquant'anni nel modo più strano. Non nella famiglia del sangue, non nella famiglia dello spirito.

Ma qui tra voi che siete i moncherini delle famiglie. Può la non famiglia diventare la tua famiglia migliore? da trent'anni?». Evidentemente per lui e per i tanti che da lui si sono sentiti aiutati, può essere, è stato, è così.

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