«Dora», la moglie del capo dei vigili sparita in 250 metri

Cristina non cerca più sua madre Dora tra la gente per strada. Lo ha fatto per tanto tempo. Inutilmente. «E poi se anche la incontrassi ora non so se la riconoscerei» mormora questa 37enne pacata e pensierosa, tentando inutilmente di nascondere le proprie emozioni dietro le lenti degli occhiali da vista e tra una sigaretta e l'altra.
Cristina è la figlia di Dolores Lombardi, conosciuta da tutti come Dora. Cinquantanove anni, casalinga e madre di due figli (oltre a Cristina c'è Pietro, classe 1982) il 13 luglio 2004 Dora esce dal suo appartamento di Bresso come ogni mattina. Ma stavolta non farà più ritorno. Metodica, razionale, molto apprensiva, Dora è la moglie del capo dei vigili di Bresso, Giovanni Di Stefano, ma conduce una vita normalissima, il classico tran tran casa, famiglia, chiesa. Cucina, stira e lucida i suoi animaletti Swarovski, Dora. Poi, sempre a piedi, fa qualche visita alle amiche, alla cugina, la spesa. Questa sciura ha la doppia cittadinanza perché, seppur originaria come il marito di Acquafondata (Frosinone), insieme ai genitori e ai tre fratelli minori, ha vissuto per anni a Philadelphia. Tornata in Italia sposa Di Stefano, di un anno più grande di lei, e insieme si trasferiscono nel Milanese. Il marito prima lavora alla Philips, poi, con Dora, gestisce una pizzeria a Nova Milanese. Quindi inizia la carriera nella polizia municipale, vince il concorso e diventa prima comandante a Cusano Milanino e poi a Bresso.
«Quella mattina la mamma mi aveva chiamata dicendo che doveva comprare delle camicie per Pietro. Così era andata da sola in un negozio - prosegue Cristina che, all'epoca, mentre il fratello frequentava Economia e commercio, era già sposata da un paio d'anni e lavorava in una ditta di elaborazione dati a Bresso dove ora è socia -. Poi aveva telefonato a mio padre per farsi portare in auto al supermercato. All'angolo con via XXV aprile papà aveva ricevuto una chiamata di lavoro e lei gli aveva detto che non occorreva che la accompagnasse proprio davanti all'Esselunga. “Se avrò bisogno di un passaggio per tornare a casa all'ora di pranzo ti chiamo. O telefono a Cristina e a Pietro“».
Giovanni non sa ancora che non rivedrà mai più sua moglie. Il mistero della scomparsa di Dora Lombardi, infatti, è tutto racchiuso in quei 250 metri che separano una merceria (dove la donna si reca appena scesa dalla vettura del marito) dall'Esselunga che invece Dora non raggiungerà mai, come documenteranno più tardi le telecamere. Sono attimi cruciali, frammenti sui quali Cristina da anni si arrovella.
«Quel giorno mio padre, non vedendo mamma rientrare all'ora di pranzo e trovando il suo cellulare spento, mi chiamò preoccupato. Io e mio fratello cominciammo a telefonare a parenti, amici. Poi ci rivolgemmo ai carabinieri di Bresso (compagnia di Sesto San Giovanni) e scattarono le prime ricerche: le nostre. I militari fecero il loro dovere, per carità: forse siamo noi famigliari che non riusciamo a comprendere le ragioni che spingono lo stato, anche dal punto di vista legislativo, a non mettere subito in moto le ricerche di chi non sarebbe mai sparito senza una vera ragione».
Cristina, il padre e Pietro iniziano a piantonare con ronde diurne e notturne per settimane la stazione Centrale di Milano. Ma anche ospedali o centri dove cercano riparo i clochard. Sperando in una perdita di memoria di Dora che, circa un anno prima, era stata investita da un'auto pirata.
«Ci fu chi disse di averla vista alla clinica Santa Rita, chi di averla lavata in un centro per barboni, chi di averla notata a Roma - sorride amara Cristina -. Mia madre aveva con sé la carta d'identità, ma il passaporto era a casa».
Il 29 luglio una negoziante chiama sul cellulare Cristina. Dice di aver visto Dora davanti alla vetrina del suo negozio, in via Monte di Pietà, nel pieno centro di Milano. «Si è allontanata verso via dei Giardini», aggiunge. I Di Stefano e i volontari organizzano una «battuta». Per dieci minuti, i cani fiutano la scia della donna. Poi più nulla.
«È l'unica pista in cui ho creduto - conclude Cristina -. Non era mai accaduto, infatti, qui a Bresso, che i cani fiutassero qualcosa...

E continuo a pensare a un'altra segnalazione, forse collegata a questa: la mattina in cui scomparve, sempre all'angolo con via XXV aprile, mia madre venne vista parlare con una donna. La notò un vigile amico di papà che vide la sconosciuta solo di spalle. Ecco: perché quella tizia non si è mai fatta viva? Anche solo per dirci che era rivolta alla mamma per chiederle un'informazione?».

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