Guerra in Ucraina

Il dottore che vola in Ucraina e porta via i bimbi dall'orrore

Diciassette piccoli pazienti arrivati e cento da salvare tra "corridoi" non ufficiali, pericoli e cure ininterrotte

Il dottore che vola in Ucraina e porta via i bimbi dall'orrore

«Al piccolo Artem, 3 anni, la mamma ha detto che sarebbero andati al mare». Damiano Rizzi lo racconta mentre mangia un panino alle tre di pomeriggio facendo altre mille cose contemporaneamente. «Da psicologo potrei dire che tecnicamente è un errore - accenna un sorriso - perché noi dovremmo avvicinare i bambini alla realtà delle cose, però è anche un atto d'amore e di capacità non scontato, perché riesce a costruire un'immagine di speranza».

Artem è uno dei sedici bimbi ucraini arrivati in Italia grazie alla missione di «Soleterre», che fa la spola fra Milano e Kiev per salvare i piccoli pazienti oncologici dalle bombe. La «realtà delle cose», oggi in Ucraina, è l'orrore della brutale invasione russa, e il dottor Rizzi, presidente dell'associazione Soleterre e psiconcologo, è molto di più di un medico. «Mentre stiamo parlando - racconta - 16 bambini fra i 3 e i 19 anni sono arrivati e uno è in viaggio. Hanno patologie oncologiche, tumori prevalentemente solidi e sono molto provati dal viaggio, ma hanno trovato posto in strutture ospedaliere delle Lombardia, e uno a Roma».

«La cosa complessa - dice - è portarli fuori da Kiev creando, noi, dei corridoi umanitari non ufficiali. Da lì a Leopoli, poi in Polonia, abbiamo un centro dentro all'aeroporto di Rzeszów, con medici, psicologi, operatori umanitari. I bambini stanno sono negli ospedali, peccato che siano saturi». Stanno diventando un modello nazionale e non solo, queste missioni, con piccoli gruppi di pazienti (e mamme) curati, seguiti - anche psicologicamente - e accolti dalla prima tappa all'ultima. «Abbiamo creato una filiera - racconta il dottore - mettendo insieme persone con lingue diverse e non abituate a lavorare insieme, ma nelle emergenze si scopre il meglio di ogni essere umano. Stiamo costruendo una rete con l'aiuto di tanti, l'Associazione italiana ematologia e oncologia pediatrica, la Protezione civile, la Regione che ha messo a disposizione Areu. Dovrebbero anche arrivare fondi per accoglienza e assistenza e stiamo parlando con il ministero della Salute e la Cooperazione internazionale».

Sembra un miracolo. Si può definire così? «Glielo dico io come si definisce - risponde Rizzi - Avere cura dei propri pazienti, non abbandonarli. Non si possono lasciare sotto le bombe, sono vite da salvare a ogni costo. Non so se è poco o tanto, è quello che va fatto, e la sensazione è di non fare mai abbastanza».

Le missioni sono pericolose. «Gli operatori che si trovano in Ucraina corrono il rischio di restare lì sotto le bombe. Certo che è rischioso e noi non giriamo armati. Chi è stato in zone di guerra sa che quando porti fuori dei bambini devi parlare con tutti, e prima si potevano prendere accordi, ma questa guerra è diversa, qui sparano sui civili, sapersi muovere non è facile, ma qui scatta la forza della disperazione, se sei disperato e se non ti puoi curare è la disperazione che ti guida, non abbiamo scelta. Ho sensazioni pessime. Una carneficina? Quella è già in corso».

Rizzi lavora all'ospedale di Pavia e da 19 anni la sua onlus è presente in Ucraina. «Il Paese mi sta molto a cuore - dice - l'associazione l'abbiamo creata con mia moglie e amici 20 anni fa. La molla? L'idea che ognuno faccia il proprio pezzetto, senza troppe pretese. Questo lo spirito che ci muove. Preoccuparsi fa star male, occuparsi fa stare meglio. Abbiamo sempre sostenuto questa attività con fondi raccolti un euro per volta, con progetti, iniziative, 5 per mille». In questa missione-ponte per i bambini di Kiev, la Regione ha pagato il primo volo, gli altri sono stati finanziati da benefattori privati.

Rizzi, si vede, non fa caso ai riconoscimenti. Nel suo ufficio ha i due premi ricevuti. La targa d'argento della presidenza della Repubblica italiana, di Carlo Azeglio Ciampi, e il premio Dossetti per la pace. «Ci tengo molto - dice - per questa figura di partigiano cristiano. Quel messaggio è attuale: avevo fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, avevo bisogno di cure e mi avete curato possiamo dire». «La fede? Bisogna avere fiducia e speranza».

Rizzi spera di salvare il maggior numero di giovani pazienti. Sembra Oskar Schindler quando fremeva per salvarne ancora, e ancora. «Ho i documenti di persone disperate, e c'è chi chiede di inserire anche loro». Quanti? «Un centinaio di bambini sono in attesa, ma la cosa positiva è che sono negli ospedali ora si tratta di trovare luoghi che possano aiutarli, 18 li abbiamo evacuati, 16 sono arrivati, 50 persone le aspettiamo la prossima settimana. A Leopoli ne abbiamo 90.

E altri 100 nell'est Ucraina».

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