Durham e il Labirinto dell'«Art week»

di Mimmo di Marzio

Chi ha inventato le «week», vale a dire le settimane tematiche a concentrato di eventi, lo ha fatto certamente a ragion veduta per rendere un servigio a un settore economico. La settimana del design che esploderà tra pochi giorni, ad esempio, è un grande evento cittadino nato a corollario del Salone del Mobile e che offre agli operatori - ma anche al grande pubblico - una festa che porta linfa alle casse delle aziende e della città. Meno digeribile - e forse anche meno utile - appare la moda delle «week» applicate all'arte e alla cultura, che vedono le istituzioni pubbliche e private fare a gara nel presentare in pochissimi giorni decine o centinaia di performance, incontri, concerti, mostre o interventi «site specific». Così è per Piano-city, così per Bookcity e così pure per la «Art week» iniziata oggi e nata per imbastire una sinfonia di eventi artistici attorno ad un evento di mercato quale è la fiera Miart. Un fenomeno probabilmente positivo per la manifestazione di Fieramilanocity che ospita galleristi e collezionisti anche internazionali. Tutto da vedersi se ciò sia anche un servigio alla cultura, che necessita non di maratone ma di tempi lunghi, attente riflessioni e molta più lentezza di quella invocata dal sindaco Beppe Sala per una Milano che corre troppo. Il rischio è di dar vita a un frenetico calderone in cui tutto si mescola indifferentemente, mostre interessanti e eventi glamour, interventi di qualità e faccende di mercato, dove la parola d'ordine diventa esserci. E rischio ancor maggiore è che in questo meltin-pot finiscano per restare annacquati proprio gli elementi di valore che, quelli sì, fanno il valore aggiunto di una programmazione culturale, mica le «week». Uno di questi era presente ieri alla Fondazione Pini, personaggio ormai agée ma artisticamente e intellettualmente più fresco di tanti «giovani artisti» ben quotati dalle gallerie. L'indiano d'America Jimmie Durham, ha eseguito negli spazi della quadreria Labyrinth, un intervento concettuale raffinato e «mimetico» nel suo rispetto del genius loci, esponendo in vetrina elementi «poveri» ma «duchampianamente» sostanziali recuperati dall'artista nelle viscere dell'edificio storico: pezzi di tubi, materiali edili e un osso, simbolo eterno di un'archeologia umana che segna l'ineluttabilità del tempo.

Durham, uno dei più importanti artisti viventi, avrebbe meritato a Milano forse più attenzione proprio perchè artista ricco, complesso e meno conosciuto in Italia di quanto merita. Un focus? Una mostra pubblica? Chissà, la giostra dell'art week è appena partita.

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