Ecco come i migranti diventavano un (mal)affare

Scatole cinesi per incassare i fondi statali durante l'emergenza sbarchi e investire nel mattone

Ecco come i migranti diventavano un (mal)affare

Nel 2007 dichiarava 3mila e 400 euro scarsi, nel 2015 22mila e rotti, nel 2017 oltre 31mila in concomitanza con i tre anni (2014-2017) dell'emergenza sbarchi. Nel frattempo a schizzare in altro era l'asticella della galassia di concorrenti a lei intestati o collegati: 100mila euro in una banca, 119mila nell'altra (le cifre più consistenti sui conti online), 12mila su una ricaricabile, fino ad arrivare ad oltre 700mila euro. I magistrati ne sono convinti, «la disponibilità delle somme di denaro che aveva in mano è sproporzionata rispetto ai redditi dichiarati» e infatti Daniela Giaconi era - secondo l'accusa - l'ideatrice e la presunta «manovratrice» dell'associazione a delinquere finalizzata alla truffa ai danni dello Stato, portata a galla dall'indagine «Fake onlus», di cui sono titolari i pm di Milano Ilda Boccassini e Gianluca Prisco. Le sue pedine erano le onlus per la gestione dell'accoglienza dei migranti: come scatole di latta le «collezionava» e le inseriva una nell'altra facendo in modo che amministratori, soci e commercialisti si alternassero nei ruoli, per poterne controllare l'operato. «Non ho mai fatto nulla di mia iniziativa, ho sempre eseguito» ammetteva Roberto Tirelli, uno dei cinque indagati finiti ai domiciliari che aveva il ruolo - stando alle carte - di socio fondatore della onlus Area solidale, ma soprattutto di «prestanome per assicurare i rapporti della Giaconi con i funzionari prefettizi» (gli enti sono da considerarsi «parte lesa» nell'inchiesta).

I bonifici della prefettura di Lodi, insieme a quelle di Parma e Pavia, erano puntuali come un orologio svizzero. A tardare, o a non arrivare mai, invece erano i servizi per i migranti: niente assistenti sociali, né «pocket money» (la piccola somma diaria prevista per chi viene accolto), tanto che il 7 febbraio scorso gli stessi richiedenti asilo avevano protestato davanti alla prefettura di Lodi perché quei soldi non li avevano mai visti.

Con tutta probabilità una parte del denaro è finito in un investimento nel mattone: d'altra parte Giaconi nel suo cv dichiarava un «master in Sociologia e gestione e valorizzazione dei patrimoni immobiliari e urbani». Si tratta di un immobile in viale Abruzzi 88, dove non c'è nessuno Sprar né un Cas, ma che è stato acquistato - in base a quanto scrive il gip Carlo Ottone De Marchi - «con denaro proveniente dalle erogazioni percepite in modo indebito per l'attività di accoglienza dei migranti». Circostanza che configura anche il riciclaggio.

L'immobile ora è «oggetto di sequestro finalizzato alla confisca»: ironia della sorte, una delle coop coinvolte

nell'indagine, «Milano Solidale», la faceva da padrona nell'arraffare i fondi pubblici, con 4 milioni di entrate, ma la sua coop madre, «Area solidale», aveva partecipato nel 2018 proprio al Festival dei beni confiscati a Milano.

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