
Luca Pavanel
Sfera Ebbasta, di Cinisello Balsamo, si è beccato recentemente il «disco di platino»; e c'è il collega Fedez «made in Rozzano» sulla cresta dell'onda - tra l'altro venerdì prossimo sarà in concerto col collega J-Ax a San Siro -. E ancora Fabri Fibra, uno tra i più famosi di questi anni insieme ai succitati, tutti legati alla città, in principio almeno ai loro quartieri. Loro, chi più chi meno, arrivano dalle periferie, dall'hinterland, dalle provincie della metropoli lombarda. Qualche nome? Gué Pequeno (zona Sempione) Ghali e Marracash volti della «città intorno». Una concentrazione di questi personaggi delle zone decentrate, e c'è una spiegazione.
«È più facile che nelle periferie nascano linguaggi più diretti - spiega lo storico della canzone Andrea Pedrinelli - linguaggi che, in un piccolo nucleo socialmente stratificato come possono essere i quartieri e i piccoli comuni, possono capire in molti, raggiungere vari tipi di persone». Messaggi a volte «forti», secondo il sentire comune volgari che vanno al «sodo»; qualcuno dei «rapper affronta tematiche legate a realtà su cui riflettere - continua lo studioso - Ma in generale si ascoltano testi giovanili all'insegna dello sfogo». A quanto pare, a volte, non come in America dove il rap a tutti gli effetti fa parte della cultura afroamericana; fatte le dovute proporzioni artistico-musicali, come sono stati tanto tempo fa il blues e il jazz. Qui spesso un'altra cosa. «Da noi - prosegue Pedrinelli - questo linguaggio sembra più legato a una protesta appunto e alla facilità di comunicazione». C'è una sorta di ribellione al mondo degli adulti da parte dei ragazzi, la voglia di «differenziarsi, cercare di smarcarsi dal conformismo; i testi parlano «come sempre o quasi dei sentimenti». E dall'altra parte? Un pubblico di ragazzini che fa i suoi distinguo. Secondo l'esperto gli adolescenti mostrano di seguire pure i «rapper cantinari, non ancora arrivati alle case discografiche, quelli che non sono ancora visibili al grande pubblico». Una fetta di ascoltatori in erba che forse «condanna» successo e soldi perché «inquinano la purezza». E sul versante strettamente musicale, che cosa dire? «Negli States - afferma - questo genere vanta una sorta di ricerca musicale» che rende i pezzi qualcosa di più di un testo da recitare. Ci sono anche «arrangiamenti interessanti».
Come vengono «consumate» le canzoni lo si vede non di rado per le strade: tutti in cuffia, radio in spalla si accennano movimenti, gesti rituali, imitazioni. «Non penso che ci siano delle discussioni sui testi - conclude lo storico Pedrinelli - Cose che appartengono al passato, al mondo della canzone tradizionale, al mondo dei cantautori». È un'altra storia questa, è la cultura della strada, che anche in questo caso non è tutta uguale.
Scriveva nella sua autobiografia Rad Brown, ministro dalla giustizia della Black Panthers Party: «È nella strada che i ragazzi si fanno un'istruzione. Io ho imparato a parlare per la strada, non leggendo sul sillabario le storie di Dick e Jane che vanno allo zoo e tutta quella roba idiota».
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