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Ecomostri galleggianti Ma i giudici salvano i barconi del Naviglio

Il Comune vuole spostare le strutture in acqua Però i privati hanno l'ok del Consiglio di Stato

Luca Fazzo

Chissà cosa direbbe don Pedro Enriquez de Acevedo, conte di Fuentes e governatore di Milano, che nel 1601 fece erigere, là dove il Naviglio Pavese sbocca nella Darsena, il ponte che da allora si chiama Ponte del Trofeo: e che oggi è occultato alla vista da un ecomostro galleggiante, reso invulnerabile da una vicenda giudiziaria talmente arzigogolata da far rimpiangere la giustizia dei tempi del conte di Fuentes. L'ecomostro è uno dei quattro barconi che senza permesso stanno ancorati da decenni sul canale, propaggini dei templi della movida fiorita sulle sponde. Tutto intorno il quartiere è mutato. La Darsena ha cambiato volto, dopo anni di abbandono, grazie ad un investimento a molti zeri che doveva riportare il Naviglio alla delicata bellezza di un tempo. Ma l'ecomostro è sempre lì, e così pure i suoi colleghi di stazza minore. E chissà ancora per quanto.

Storia vecchia, si dirà. Ma la accuratezza del restauro della Darsena fa stridere ancora di più la vista del gigantesco barcone, trenta metri di lunghezza e due piani di altezza, che ingombra l'imbocco del Naviglio, frutto dell'espansione (all'italiana, metro dopo metro) della pizzeria all'angolo. Più in là, altri tre barconi. L'ultimo, dopo l'incrocio con via Pavia, è il più malinconico di tutte: era il barcone delle Scimmie, storica cave del jazz milanese, chiusa un anno fa dopo 34 anni di sassofoni e contrabbassi. Il locale sulla terraferma è passato di mano, il barcone è rimasto a Sergio Israel, il vecchio proprietario che se lo coccola come un relitto dei tempi andati. «A volte penso che vorrei venirci a vivere - racconta Israel - a volte mi piacerebbe farne un ostelo galleggiante. Ma fino a quando non si saprà qual è il nostro destino come si fa a darsi dei programmi?».

Il barcone di Israel fu il primo a venire ormeggiato, nel remoto 1985, e aveva almeno il pregio di portarsi dietro un'idea. Lo seguirono, purtroppo, altri barconi, dove di idee non c'era traccia, e tantomeno di rispetto per la storia dei Navigli. Oggi il contenzioso legale che deve decidere della sorte dei barconi è in alto mare. Israel è ancora in lotta con il Consorzio Villoresi (che ha giurisdizione sul Naviglio a valle dell'incrocio di via Pavia), ha perso in primo grado e aspetta l'appello; i primi tre barconi devono invece fare i conti col Comune di Milano, che nel maggio 2014 ha ordinato loro di sloggiare; i titolari hanno fatto ricorso al Tar e a luglio 2015 se lo sono visto respingere, poi hanno fatto appello al Consiglio di Stato. E ora hanno ottenuto una prima vittoria, perché l'ordine è stato sospeso. A dicembre ci sarà una nuova udienza per affrontare il merito della questione; verso gennaio a Dio piacendo, la sentenza definitiva.

Una vicenda interminabile, iniziata quando il sindaco era Carlo Tognoli, e il primo a benedire l'idea di Israel fu il vulcanico assessore al commercio dell'epoca, Angelo Capone.

Da allora molta acqua è passata sotto i ponti del Naviglio, al posto del jazz sono arrivati i montaditos, e si è compiuta la mutazione del vecchio quartiere popolare in quell'ammasso un po' senza anima di locali che oggi è sotto gli occhi di tutti. E di cui la presenza dell'ecomostro a due piani è il simbolo più vistoso e meno digeribile: specie per gli abitanti delle case prospicienti, che si sono ritrovati praticamente in camera il comignolo del barcone.

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