Guerra in Ucraina

"Esportiamo, ma che guaio se pagano in rubli svalutati"

Cresce la preoccupazione delle aziende lombarde: commesse cancellate, crisi del grano e del turismo

"Esportiamo, ma che guaio se pagano in rubli svalutati"

Paradossalmente «chiudiamo l'anno più bello di sempre nonostante la pandemia, toccando quota 135 miliardi di esportazioni, cifra record mai raggiunta e vediamo delle nubi che non ci aspettavamo», dice Giandomenico Auricchio, presidente di Unioncamere Lombardia. La sua azienda esporta da oltre un secolo. «Negli ultimi anni abbiamo cominciato a farlo anche in Paesi come Russia e Ucraina. Con Mosca avevamo fatto un ottimo lavoro con il marchio Auricchio. Ma nel 2014, con le prime sanzioni dopo l'occupazione della Crimea, i rapporti si sono interrotti». Discorso diverso per l'Ucraina, con cui «avevamo iniziato a esportare con soddisfazione. Da almeno 8 anni racconta avevamo un distributore, il più grande del Paese che copriva tutte le aree, anche quelle del Donbass». Acquistavano soprattutto i prodotti della tradizione, come il provolone o il parmigiano reggiano. E con buoni risultati, visto che nei primi mesi del 2022 «avevamo registrato un incremento del 12%, con un fatturato vicino al milione e mezzo di euro». Ora, però, è tutto fermo, con le spedizioni impossibilitate a entrare nel Paese. In generale, secondo Auricchio, per le imprese «sarà difficile ricominciare ad esportare». Per il comparto agroalimentare «il problema più grave è il grano prosegue c'è grande timore per il settore mangimistico e per la filiera della pasta e delle farine».

Nel 2021 le esportazioni dalla Lombardia verso la Russia hanno superato i due miliardi di euro, mentre in Ucraina hanno fruttato oltre 500 milioni, di cui 41 solo nell'agroalimentare. Anche la cosmetica risente della guerra, un settore che, secondo le stime del Centro studi di Unioncamere elaborate su dati Istat, solo in Lombardia ha generato nel 2021 scambi commerciali per 34 milioni. «La Russia era il nostro terzo mercato, l'Ucraina il quarto. Abbiamo dovuto inevitabilmente abbassare le stime per il 2022: il fatturato russo subirà perdite dell'80%, quello ucraino del 100%», rivela Davide Brichetti, amministratore de «Gli Elementi», azienda milanese specializzata nella produzione di creme per il corpo. «Con la Russia abbiamo rapporti con un grosso distributore: due giorni dopo l'inizio della guerra hanno mandato una comunicazione a tutti i partner dicendo che i pagamenti erano confermati dato che la loro banca non era stata colpita dalle sanzioni». Il rischio è di vedere arrivare una pioggia di rubli, banconota ormai iper-svalutata. Ma i contratti sono scritti in euro, come avvertono gli imprenditori e vanno rispettati. In Ucraina, invece, «abbiamo un partner storico con cui lavoriamo da 15 anni. A gennaio erano già partiti con gli ordinativi». Paradossale «è che fino a un paio di settimane fa ci dicevano che i media occidentali stavano esagerando e che si sarebbe arrivati a una soluzione tra le parti». I missili, però, hanno cambiato le carte in tavola: «Ora hanno sospeso gli ordini e non avevano idea di quando sarebbero andati a ritirare quelli in arrivo, né quando li avrebbero pagati». A Como, dove la Gdf ha già sequestrato due ville da 8 milioni al magnate Vladimir Soloviev, la paura è per le conseguenze sul turismo. «Questo doveva essere l'anno della ripresa», sospira Andrea Camesasca, vicepresidente degli albergatori Confcommercio di Como che gestisce Il Corazziere, storico hotel di famiglia. «Stiamo registrando le prime cancellazioni sia per il comparto vacanziero che per il segmento business.

I russi erano una bella clientela per le strutture a cinque stelle, non tanto per la quantità quanto per la capacità di spendere».

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