L'Aler. La Sogemi. Lo stesso Comune di Milano. Sono numerosi i soggetti pubblici che, se il nuovo regolamento edilizio varato dalla giunta Pisapia venisse applicato equanimemente, potrebbero ricadere sotto il provvedimento più eclatante contenuto nel provvedimento: la possibilità di requisizione e di destinazione a attività socialmente utili degli immobili abbandonati. É una norma che in questi giorni sta facendo molto discutere: c'è chi plaude, e cita l'articolo 42 della Costituzione che assicura la «funzione sociale» della proprietà privata; e c'è chi accusa la giunta di avere messo le basi per una sorta di esproprio proletario ai danni di proprietari immobiliari piccoli e grandi.
Quel che è certo e che in base alle nuove norme il Comune potrebbe trovarsi costretto a prendere in carico immobili di cui egli è già stesso proprietario. Gli stabili di Palazzo Marino che ricadono nella definizione di «abbandonati» contenuta nel regolamento («che non siano manutenuti e utilizzati per più di cinque anni») sono parecchi. Il caso più eclatante è quello della scuola di via Santa Croce, a Porta Ticinese, chiusa e pericolante da quasi dieci anni, e occupata abusivamente qualche mese fa. Ma si potrebbero fare numerosi altri esempi. E lo stesso vale per la Sogemi, società del Comune, le cui palazzine lungo viale Molise sono abbandonate da anni (e anch'esse in parte occupate abusivamente), o per centinaia di appartamenti popolari. Cosa farà il Comune? Li requisirà, li ristrutturerà, li destinerà a circoli di volontariato e poi manderà il conto a se stesso?
Più verosimilmente, la norma verrà applicata solo ai privati. L'assessore all'Urbanistica Lucia De Cesaris ha calcolato in circa duecento gli stabili destinati a rientrare nella casistica. Ma l'esempio che viene citato sia dagli esponenti della giunta sia dai loro supporter sui social network è sempre e soltanto uno: la cosiddetta Torre Galfa di via Galvani, tristo fabbricato degli anni Sessanta da tempo in disuso. Anch'essa venne occupata nel maggio 2012 dal collettivo Macao, ma venne sgomberata poco dopo. A dare una forte valenza simbolica all'inserimento della Galfa tra i beni da destinare a servizi sociali c'è un dettaglio che viene citato in quasi tutti i commenti: è di Salvatore Ligresti. E restaurarla a spese di Ligresti e trasformarla in spazio sociale sarebbe la giusta punizione per le malefatte del «re del mattone».
Peccato che la vendetta arriverebbe fuori tempo massimo, e non colpirebbe il bersaglio prefissato. La torre di via Galvani non appartiene più né all'Ingegnere di Paternò né ai suoi figli, ma ai curatori fallimentari dell'impero ligrestiano, andato gambe all'aria l'anno scorso.
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