False dichiarazioni: alla Bocconi è caccia ai furbetti della retta

Battaglia dell'ateneo contro gli abusivi delle borse di studio Rapporti della Finanza e un ufficio ad hoc per i controlli

Ragazzi, manda a dire la Bocconi ai suoi studenti: cerchiamo di non cominciare male. Se fin dai banchi di scuola vi abituate a taroccare il 740, cosa farete quando siederete ai vertici di un'azienda? Così la caccia agli allievi che barano sui propri redditi è, per l'ateneo di via Sarfatti, oltre che una necessità di cassa anche una missione educativa. I furbetti, quando vengono individuati, vengono in genere convinti con le buone a rettificare le loro dichiarazioni. Ma nei casi più estremi si arriva in tribunale.

Così è stato nei giorni scorsi il Tar della Lombardia a doversi occupare del caso di M.P., studente del secondo anno del corso di laurea specialistica in Management, che fin dal primo anno di iscrizione in Bocconi si era presentato come indigente, presentando a sostegno delle proprie dichiarazioni tutta la documentazione prevista dal bando. In questo modo M.P. era riuscito non solo a farsi azzerare le tasse universitarie, ma anche a vedersi assegnare una borsa di studio per mantenersi nel percorso accademico. Si tratta di vantaggi sostanziosi, visto che la retta del primo anno per le lauree specialistiche arrivano fino a 12mila euro, e che la borsa di studio oltre a garantire un pasto gratis al giorno ha portato nelle tasche dello studente oltre duemila euro. I sussidi provengono dai fondi dell'Isu, l'istituto per il diritto allo studio, sulla base di criteri stabiliti dalla Regione Lombardia.

Ma nel luglio scorso doccia fredda per M.P.: un rapporto della Guardia di finanza inoltrato alla Bocconi attesta che la famiglia del giovanotto è tutt'altro che povera, e anzi è in possesso di un «ingente patrimonio immobiliare» di cui nella dichiarazione presentata all'università non c'è alcuna traccia. Così per lo studente scatta la revoca delle borse di studio del primo e del secondo anno: il 14 luglio il direttore dell'Isu comunica il provvedimento, chiedendo la restituzione delle somme già incassate dal finto povero. Il ragazzo e la sua famiglia non si arrendono, il 17 settembre depositano al Tar della Lombardia un ricorso in cui chiedono che sia annullato sia il verbale di accertamento delle «fiamme gialle» che la comunicazione ricevuta dall'Isu. L'altro ieri la terza sezione del Tar, presieduta dal giudice Adriano Leo, dichiara inammissibile il ricorso: se vorrà insistere, M.P. dovrà rivolgersi al giudice ordinario.

Non è l'unico caso in cui la caccia ai «furbetti della retta» è approdata in tribunale. A chiedere addirittura la borsa di studio a sbafo sono in pochi, mentre è più frequente il caso di studenti che si fingano più poveri per risparmiare una parte della retta, che oscilla in base alle fasce di reddito. Sulla attendibilità di queste dichiarazioni, la Bocconi attraverso un ufficio apposito effettua controlli a campione, e quando i risultati non convincono va a chiedere spiegazioni ai ragazzi e alle loro famiglie, pretendendo nuovi documenti. È accaduto che alcuni studenti contestassero il diritto della Bocconi di andare a frugare nei loro patrimoni. Ma il tribunale ordinario, cui si era rivolto uno di loro, ha dato ragione all'ateneo: all'atto dell'iscrizione, gli aspiranti bocconiani accettano le regole del gioco.

E la legge del 2000 sulla autocertificazione prevede espressamente che «le autorità procedenti sono tenute ad effettuare idonei controlli, anche a campione e in tutti i casi in cui sorgono fondati dubbi sulla veridicità delle dichiarazioni sostitutive». Anche perché chi ottiene una borsa di studio cui non ha diritto la porta via a chi si piazza in classifica dietro di lui.

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