"Falsi i racconti di botte e abusi su una paziente". Assolti medico e sanitari

Compagna di stanza in Psichiatria accusava anche tre infermiere del Fatebenefratelli

"Falsi i racconti di botte e abusi su una paziente". Assolti medico e sanitari

Sembrava un viaggio nell'orrore, ambientato in un posto dove la sofferenza è vita quotidiana: il reparto psichiatrico di un grande ospedale, il Fatebenefratelli. In quel reparto, secondo la Procura della Repubblica, una giovane paziente venne tormentata, insultata e picchiata senza motivo. Tre infermiere e un medico erano finiti sotto processo per violenza privata, e il pm aveva chiesto la loro condanna.

Ma il giudice stabilisce che non è vero niente. «Il fatto non sussiste», dice la sentenza pronunciata dal magistrato Emanuela Rossi che ha assolto con formula piena tutti gli imputati. Contro i quattro sanitari c'era solo la parola di un'altra paziente del reparto, ospite della stessa stanza della ragazza. Ma nel corso del processo le accuse si sono rivelate lacunose e contraddittorie. Infondate le accuse: e così pure le crude descrizioni delle condizioni di vita offerta dalla testimone, che parlava di pazienti abbandonati a se stessi, costretti a girare per il reparto sporchi di escrementi e senza biancheria.

Al centro del processo, il sistema di contenzione al letto utilizzato per i pazienti psichici quando non vi è altro modo per contenerne la furia: un metodo impressionante, ma ammesso dalle linee guida perché privo, in certi casi, di alternative. Tutto comincia la sera del 2 novembre 2015, quando la ragazza - già da tempo sofferente - viene portata in ospedale in piena «crisi pantoclastica», un attacco di ira che la porta a spaccare tutto quello che le capita a tiro; ha persino cercato di picchiare la figlia del portinaio.

In reparto, dice la cartella clinica, all'inizio la situazione si ripete: «Agitata, molto aggressiva, graffia, rifiuta le terapie». Così per cinque volte la giovane viene legata al letto, nel primo caso per ben venti ore consecutive. Per tre volte viene sedata. Poco per volta, la crisi si attenua. Ma dopo cinque giorni di ricovero, la mamma della ragazza riceve l'sms di una compagna di stanza, «devo raccontarle una cosa». Ed è questa ricoverata a riferire alla madre che sua figlia di notte sarebbe stata aggredita dal personale, spinta a terra, presa a schiaffi e investita di insulti, «cretina, scema, deficiente». La madre sporge denuncia ai carabinieri e parte l'inchiesta.

Durate il processo - con gli imputati difesi dagli avvocati Isabella Cacciari, Renato Mantovani e Enrico Muffatti - si scopre che le lesioni al volto, causate secondo la Procura dagli schiaffi, erano state causate dalla cinghia della sua borsetta.

E interrogata in aula, la compagna di stanza ripete le sue accuse solo in parte, e quasi sempre viene smentita dagli accertamenti sulle cartelle cliniche. Il pm chiede la condanna del medico a un anno e due mesi, e degli infermieri a pene fra i tre e i nove mesi di carcere. Il giudice assolve tutti quanti.

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