Due campagne elettorali, per la Provincia nel 2009 contro Guido Podestà e per la Regione del 2010 contro Roberto Formigoni, «drogate» dalle tangenti rosse. Lo dicono i pm della procura di Monza Walter Mapelli e Franca Macchia che hanno chiuso l’indagine sul«Sistema Sesto » rinviando a giudizio Filippo Penati e altri ventuno tra cui l’ex braccio destro Giordano Vimercati e l’ex segretario generale della Provincia Antonino Princiotta. Oltre alla Codelfa, società del gruppo Gavio. Tutti alla sbarra per i reati, a vario titolo, di corruzione, concussione e finanziamento illecito ai partiti.
Ce ne sarebbero tante di domande da fare a Penati, l’uomo forte del Pci, poi Pds, poi Ds e poi Pd in Lombardia salito alle cronache come sindaco di Sesto san Giovanni, eterna Stalingrado d’Italia e tramontato da braccio destro di Pierluigi Bersani giusto un attimo prima di finire nella mega indagine sulle mazzette «progressiste».Tanto che in molti si chiesero il perché di quell’improvviso e almeno apparentemente immotivato allontanamento dal piano nobile dei Palazzi romani. Ma a Penati, a parte i magistrati, quelle domande nessuno le fa. Nemmeno chi ogni giorno ripete la stessa, accompagnandola con la richiesta di dimissioni, al governatore Roberto Formigoni che a differenza di Penati non ha mai ricevuto nemmeno un avviso di garanzia. Mentre Penati è stato mandato a processo per un giro di tangenti che ruotavano intorno a quello che ormai è chiaro essere stato per decenni il «Sistema Sesto ». Falce e mazzetta, tangenti vermiglie, un guazzabuglio di corruzione che ha coinvolto imprenditori non solo locali ( c’è pure il banchiere Massimo Ponzellini) e politici di sinistra. Ma soprattutto il partito che evidentemente con quei finanziamenti illeciti metteva in piedi le campagne elettorali di Penati e non solo. Compresa quella in cui lo stesso Penati sfidò proprio Formigoni nel 2010 per diventare governatore della Lombardia. E oggi una bella domanda sarebbe chiedersi cosa sarebbe successo se anziché vincere Formigoni, avesse vinto il candidato delle sinistre (al plurale). Eppure, anche dopo la sconfitta, il Pd premiò Penati con un posto da vice presidente del consiglio regionale, con tanto di stipendio, indennità, staff personale e benefit. E poco importano le dimissioni dal Pd successive allo scoppio dello scandalo, perché a Penati nessuno ha chiesto di lasciare scranno e stipendio come, per molto meno e con maggiore dignità ha fatto perfino Renzo «Trota»Bossi.Perché nel caso di Penati si parla di almeno 368mila euro incamerati attraverso Fare Metropoli, l’associazione definita «mero schermo destinato ad occultare la diretta destinazione delle somme». Per non parlare degli affari d’oro sull’autostrada Serravalle e sui sospetti di tangenti per l’acquisto della nuova sede della società.
Perché secondo i pm monzesi, Penati ha messo in piedi una gioiosa macchina da guerra per raccogliere soldi per sé e per il partito. E il partito, il Pd di Bersani che Penati lo conosce bene, tace. Silenzio. Accontentandosi di chiedere (inutilmente) le dimissioni di Formigoni.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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