«A me non mi rottamerà nessuno». Pur essendo in fase di scatoloni, dopo 17 anni di governo no stop in Regione Lombardia, Roberto Formigoni non intende uscire di scena. Né di finire nella morsa della rottamazione politica avviata dall'«uomo nuovo» del Pd Matteo Renzi. E, in questo caso, voluta anche dalla Lega. Anzi, il governatore la butta lì: «Nei prossimi giorni aspettatevi tanti altri contropiede. Sicuramente sarò in campo nella prossima campagna elettorale, non conta in quale posizione ma mi batterò da leone».
A chiedergli una frenata è il leader leghista Roberto Maroni: «La Lombardia si è auto rottamata - replica - Lo stesso Pdl ha confermato la volontà di interrompere la legislatura per fare un profondo ricambio». Insomma, anche ieri i motivi di frizione tra Formigoni e la Lega non sono mancati, nonostante le dichiarazioni del governatore: «Non ho solo la mano tesa verso la Lega ma tutto il corpo». Sarà. Eppure non c'è accordo sul prossimo candidato, che per Formigoni non deve assolutamente essere leghista poiché è stata proprio la Lega «a rompere l'alleanza». Non c'è accordo nemmeno sulle primarie interne alla coalizione: per Maroni e per i vertici del Pdl vanno fatte. «È uno scherzo? - controbatte Formigoni - Sarebbe la fine del Pdl e i lombardi non vogliono essere lasciati in mano alla Lega». Il governatore si dichiara disposto fin d'ora ad appoggiare Gabriele Albertini definendo la sua «una bella candidatura».
L'intesa manca pure sulla data delle elezioni. Maroni punta ad aprile «per evitare sprechi di soldi», Matteo Salvini dice di essere disposto al voto anche il giorno di Natale, Formigoni le vuole o il 16 o il 23 dicembre. Ma a frenare è lo stesso coordinatore lombardo del Pdl Mario Mantovani: «Dicembre non è una data proponibile, è Natale anche per i lombardi». La Russa parla di febbraio. Per ora si procede con la riforma della legge elettorale e l'eliminazione del listino bloccato. La commissione Affari istituzionali è al lavoro e il Consiglio (l'ultimo) si riunirà per il voto giovedì prossimo. «Un secondo dopo scatteranno le dimissioni dei consiglieri» spiega Formigoni. Ma anche su questo punto le cose non sono chiare. Il capogruppo del Pdl Paolo Valentini ha in mano solo 24 firme su 29. Tra questa anche quella di Nicole Minetti. Un numero sufficiente per poter sciogliere i ranghi ma che sottintende il malumore di qualcuno. A non firmare infatti, oltre all'ex assessore Domenico Zambetti, sono i tre consiglieri pidiellini indagati: Angelo Giammario, Massimo Buscemi, Gianluca Rinaldin. Tutti aspettano l'ordine dal partito: o da Alfano o da Mantovani. «Prima facciamo la legge elettorale - spiega Giammario - poi ci dimetteremo, non capisco perché tutta questa fretta. Non firma nemmeno Paola Camillo e fa un passo indietro anche Stefano Maullu che era stato il primo ad annunciare la rinuncia al vitalizio con tanto di timbro dal notaio. «Prima di dimetta Formigoni - spiega - si prenda la sua responsabilità politica.
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