Nessun testimone, niente impronte digitali, niente immagini, nessuna idea su ora e giorno del colpo. A un mese dal clamoroso furto di tre tavolette del Quattrocento dal museo del Castello Sforzesco, il ladro sembra abbia compiuto il «crimine perfetto». Nessuna traccia o indizio dietro di sé, neppure un'ipotesi su quando sia entrato in azione, sul percorso effettuato per arrivare ai dipinti e poi per lasciare indisturbato «il luogo del delitto». A questo punto agli investigatori hanno già deciso di mollare la tecnologia e affidarsi ai vecchi metodi: informatori e ricettatori da mettere sotto pressione.
Il colpo fece correre un brivido alla schiena ai responsabili del patrimonio artistico milanese, per la facilità con cui venne portato a termine. Il ladro infatti, forse un professionista, forse un turista, ma non si esclude il dipendente infedele, entra nel museo, sale le scale che portano alla sala 17, con una pinza trancia i supporti in metallo e se ne va con tre tavolette dipinte, un quadrato di 25 centimetri di lato. Fanno parte di una serie realizzata da un anonimo artigiano, forse mantovano, più probabilmente cremonese, e destinate a decorare i soffitti delle ricche case lombarde. Non un grandissimo valore: il Comune le ha assicurate per 25mila euro l'una, ma sul mercato clandestino possono al massimo arrivare a 1.000/1.500. La sparizione viene scoperta nella mattinata di sabato 23 agosto, ma prima che la «bradipesca» macchina comunale si metta in moto, accerti che si tratti effettivamente di un furto e denunci il colpo arriviamo a sera. L'inchiesta viene aperta dal commissariato centro ma subito passata ai carabinieri nel Nucleo tutela patrimonio artistico. Ben presto viene fatta la prima singolare scoperta: il furto è avvenuto quanto meno il giorno prima. Un guardiano infatti aveva notato già venerdì 22 la mancanza delle tre tavolette, ma ha pensato bene di non avvertire nessuno, credendo fossero in restauro o in prestito Impossibile dunque risalire alla data esatta del furto e l'esame delle immagini dalle telecamere non offrono alcun aiuto. Non sono puntate sulle tavolette, questo già si sapeva, ma gli investigatori sperano comunque di notare qualcuno con fare sospetto, magari scappare con «qualcosa» sotto il braccio. Niente da fare: data, ora, per non parlare del volto del ladro rimangono avvvolti nel mistero. Non va meglio con l'analisi delle impronte digitali. La polizia campiona tutto quanto trovato nei pressi delle tavolette, ma nessuna appartiene a qualche ladro schedato.
Nessun aiuto dunque dalla tecnologia, non resta che affidarsi ai vecchi metodi, vale a dire mettere sotto pressione informatori e ricettatori. Sempre però che il ladro intenda «passare all'incasso».
Se invece
si tratta di un «dilettante» che ha voluto portarsi a casa un souvenir, il suo rischia di rimane davvero il «colpo perfetto».Niente testimoni, niente immagini, niente impronte e niente ricettatori che possano «cantare».
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