La «Gioconda» di Ponchielli messa in ombra dall'illuminazione

Era la sera dopo Natale e Milano si fece un regalo grande così. Fiat lux. Et lux, finalmente, facta est. Non che prima non ci fosse, ma quel maledetto gas bruciava ossigeno e metteva a dura prova i polmoni milanesi. Quel 26 dicembre, la Scala inaugurò la stagione con una sorpresa. Ben 2.280 lampadine brillarono di una luce calda che veniva da pochi isolati di distanza.

La centrale di via Santa Radegonda aveva aperto alla fine di giugno, cancellando un teatrino decrepito e fatiscente, inutilizzato da anni. Generava calore e illuminazione, ma - lì per lì - delle sue capacità termiche non si interessò nessuno. Con l'autunno quella doppia funzionalità fu apprezzata eccome.

Il cartellone scaligero prevedeva un'affollata prima alla quale accorrevano signori con cilindro e dame agghindatissime. Il sipario si alzava sulla «Gioconda» di Ponchielli, ma il verso dello stupore non prese corpo quando si abbassarono le luci, ma quando furono accese. Il vero spettacolo, quella sera, erano loro. Potere della suggestione. Poi il drappo rosso si aprì e lo show finì con l'inizio dell'opera. Le luci avevano messo in ombra il belcanto.

A tutti rimasero impresse quelle virgole sospese sui lampadari. Quell'aria che non si faceva rarefatta nello sterno. Quella visibilità così limpida e, per l'epoca, pulita.

Della «Gioconda» e di Ponchielli ci si dimenticò in fretta. Ogni dicembre, in fondo, una nuova première cancella la precedente. Ma quella fu la prima della centrale elettrica. Smantellata nel 1926, IV dell'era fascista. Ma avviata quando Mussolini aveva cinque mesi.

SteG

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