(...) cosa stesse accadendo. Dopo il ragazzino, è toccato allo spacciatore. Cognome e nome, Salem Kalid. Non uno spacciatore in grande stile: la sera del 13 giugno, quando l'hanno bloccato alle Colonne, stava cercando di vendere una «stecca», la dose minima di hashish. Per quantità simili, in genere, si viene scarcerati dopo meno di ventiquattr'ore. Ma il giorno dopo, quando Kalid era comparso in tribunale per la convalida del fermo, si era già trovato davanti al giudice Roia: che visti i suoi precedenti di spacciatore, sebbene non recentissimi, aveva ritenuto opportuno tenerlo ad aspettare il processo in carcere.
Così ieri si arriva alla sentenza. Che è, tecnicamente parlando, un patteggiamento: procura e avvocato difensore hanno raggiunto l'accordo sulla pena. Un anno e due mesi di carcere, senza condizionale. Una botta inconsueta, per qualche grammo di droga leggera. Ma meno di così è probabile che Roia non fosse disposto ad accettare. E il perché di questa inusitata durezza lo si capisce quando, prima di leggere il verdetto, il giudice si rivolge direttamente all'imputato: e non si capisce se è uno sfogo improvviso o un fervorino premeditato.
«Perché lei va a spacciare proprio alle Colonne? Lì ci vanno i ragazzi, quella sera ci potevano essere anche gli amici delle mie figlie. È sleale, è come andare a pescare i pesci nella riserva. Pensi un po' alla salute dei ragazzi!». In gabbia, Kalid rimane stupefatto. Non è la prima volta che si trova davanti a un giudice. Ma un giudice che (metaforicamente) si spoglia della toga, e lo sgrida come potrebbe sgridarlo un uomo della strada, proprio non se l'aspettava. Reagisce quasi balbettando: «Ma no... Non spacciavo... Non è come sembra...». Ma lì si ferma, e aspetta la sentenza quasi a capo chino.Ed ecco la botta: il giudice condanna Kalid un anno e due mesi di carcere, senza condizionale, tutti o quasi tutti da scontare.
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