Giudici, a Milano si lavora meno che a Trani

«Qui è come se fossimo a Oslo o a Copenaghen», ha dichiarato in una recente intervista Livia Pomodoro, presidente del tribunale, per spiegare il buon andamento della giustizia a Milano. Ma forse i cittadini che hanno a che fare col palazzaccio di corso di Porta Vittoria si accontenterebbero di essere a Trani, a Lagonegro, a Potenza. O in uno delle tante città italiane grandi e piccole dove la giustizia funziona meglio. Dove per una sentenza si aspetta un po' meno a lungo. Dove i magistrati - per dirla tutta - lavorano di più.
Sono implacabili, le statistiche del ministero della Giustizia sui carichi di lavoro e sui rendimenti dei diversi tribunali d'Italia. Ieri, quando il Giornale ha reso noto che - secondo il ministero - gli organici delle toghe milanesi si potrebbero tranquillamente tagliare di un bel po', visti i carichi di lavoro tutt'altro che eccessivi, a Milano molti hanno storto il naso: perché il refrain sulle carenze di organico fa parte delle lamentele classiche addotte dai magistrati per giustificare i tempi biblici dei processi. Ma ora il Giornale è in grado di pubblicare le statistiche che hanno portato il ministero a quelle conclusioni. E sono numeri disarmanti.
Da sempre, va detto, i giudici milanesi contestano l'attendibilità dei dati elaborati al ministero. Ma a Roma, sicuri del fatto loro, hanno escogitato una contromossa: hanno allegato agli atti i dati forniti da un organismo neutrale quale la Banca Mondiale, elaborati interpellando centinaia di studi legali nei quattro principali tribunali italiani sulla durata dei processi di primo grado. Milano con 1.291 giorni è risultata ultima, di un soffio dietro Napoli, più staccata da Roma (dove una causa dura in media 1.210 giorni) e molto lontana da Torino, dove per una sentenza bastano 855 giorni.
I dati della Banca Mondiale trovano specchio e spiegazione in quelli di fonte ministeriale: secondo cui i ritmi della giustizia milanese non sono giustificabili con gli eccessivi carichi di lavoro ma semplicemente con una inferiore produttività. Sotto la Madonnina, banalizzando, si può dire che i giudici lavorano di meno. Nella classifica nazionale su carichi di lavoro e produttività individuale, infatti, Milano è in zona retrocessione: 122esima sui 165 tribunali sparsi per la Penisola. Se a ogni magistrato italiano vengono assegnati ogni anno in media 606,9 processi, ai milanesi ne toccano soltanto 524,6. Decisamente di più di quanti ne toccano ai giudici palermitani ma meno dei napoletani (570), dei torinesi (533) e dei bistrattati romani (583,9). Meno male che per collocare l'Italia nella classifica internazionale, la Banca ha utilizzato il dato di Roma, con il che siamo finiti al 160esimo posto su 185 paesi. Se avessero usato il dato milanese, saremmo scivolati ancora più in basso.
Si tratta di cifre apparentemente inoppugnabili. E che restano sconfortanti se si va a guardare come si è tradotto in pratica l'impegno, tante volte proclamato, di andare a intaccare la massa gigantesca di fascicoli arretrati che incombono sul tribunale milanese come su quelli di tutto il Paese (in Italia complessivamente il sistema-giustizia ha un arretrato di 5,5 milioni di cause). Al ministero hanno stilato una classifica delle sedi giudiziarie più o meno virtuose nello smaltimento dei vecchi processi, e Milano è arrivata solo al 43simo posto, abbondantemente distaccata da tribunali di regioni del nord, del centro, e del sud.
É ben vero che anche a Milano è stato varato un piano svuota-armadi, e che nel quinquennio preso in esame dal ministero si è riusciti a ridurre del 9,8% gli arretrati, che sono scesi da 130mila a 118mila.

Peccato che nello stesso periodo ci siano tribunali che hanno ridotto le pendenze del 30 per cento. A Trani sono scesi da 55mila a 40mila, a Palmi da 28mila a 17mila, a Massa da 16mila a 11mila. Percentualmente sono performance che fanno impallidire quelle meneghine.

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