Grande paura a Porta Venezia «Noi barricati e fuori l'inferno»

I residenti raccontano l'ultima notte di risse tra stranieri che ha scosso il quartiere «Urla e scontri mai visti, scene da guerriglia urbana. Servono le forze dell'ordine»

In un attimo torna l'incubo Kabobo. L'uomo che a colpi di piccone seminò morte per le strade di Niguarda è diventato un'immagine chiara per chi si trovava al ristorante o fuori con il cane in via Lazzaro Palazzi. Un gruppo di trenta africani ha creato una maxi rissa che ha gettato nel panico residenti e clienti dei locali. E pochi minuti dopo ne è anche scoppiata una seconda. Una notte, quella di due sere fa, che in pochi dimenticheranno. Polizia, carabinieri, ambulanze e l'immagine di una Milano tutto meno che sicura.

«Scene da guerriglia urbana – racconta Valeria - ero fuori dal ristorante con il mio fidanzato: all'improvviso è scoppiata una rissa bestiale, una cosa oltre i limiti: in un secondo urla disumane e due gruppi di circa 15 persone che si menavano, sono state coinvolte anche delle donne e una è rimasta a terra, volavano robe enormi tipo estintori; poi metà hanno girato l'angolo e metà si sono infilati nell'Asmara cafè che quando è arrivata la polizia ha abbassato le saracinesche, ma gli agenti li hanno costretti a rialzarle». «Ho dovuto chiudere la porta e mettermici a guardia per difendere i clienti perché abbiamo pensato subito a Kabobo – ricorda Peppino, il titolare dell'Osteria la luna piena – fuori si percepiva un serio rischio: fino a quando non sono arrivate le forze dell'ordine i miei clienti erano molto spaventati, qui ci sono decine di persone senza documenti o identificazione – conclude il ristoratore – e a quanto dicono ne stanno per arrivare 600 dal sud: oggi ne sono giunti 21 da Crotone e sapendo che in via Palazzi esiste una comunità di loro paesani si sono diretti lì, visto che ormai a pranzo sono chiuso gli ho dato io la prima accoglienza facendogli usare i bagni e visto che avevano fame gli ho dato tarallucci pugliesi e pomodorini però non ne ho per seicento persone». E lo dice una persona che vive e lavora nella via da molti anni, tanto da essere ormai amico anche della comunità eritrea ed etiope che nella zona ha una radicata presenza. «Non possiamo lasciare che la situazione continui in questo modo, queste persone sono abbandonate», attacca Peppino. «Vorrei tanto che il prefetto che dice di essere intervenuto con forza venisse lui a farmi da guardia del corpo – si sfoga Enrica Pavesi, 69 anni – a me sembra di vivere nel Far West: ero in giro con il cane, lo porto fuori tardi visto che devo chiudere il più tardi possibile per guadagnarmi da vivere, e mi sono davvero spaventata. Con le mie stampelle se mi ci fossi trovata proprio in mezzo come avrei fatto a scappare? Mi sarei presa le botte anche io: l'assessore alla sicurezza Granelli dov'è?».

Nella zona la paura per la mancanza di controlli è tanta e palpabile, vista la tensione che si respira e le frequenti risse di cui chi lavora sulla strada è ben conscio: «Risse? E quando mai – ironizza un poliziotto mandato insieme a una decina di colleghi sul posto il giorno successivo alla maxi rissa – questo è un quartiere così tranquillo». E proprio per chiedere di essere ascoltati i cittadini e commercianti hanno fondato un comitato di liberazione italo-africano di Porta Venezia: all'incontro in Prefettura però il prefetto ha mandato dei suoi sottoposti che hanno promesso una generica analisi della richiesta di un presidio fisso. «Da tempo lo stiamo chiedendo – sottolinea Luca Longo, tra i fondatori del comitato e con una lunga storia nella cooperazione internazionale – ma per adesso siamo stati inascoltati: in giro si vedono anche molti che sono minori, se non procediamo con le identificazioni e una gestione dell'accoglienza più rigorosa lasciamo spazio al rischio criminalità».

E questo è un rischio, ma le risse e lo spaccio dilagante sono stati testimoniati da cittadini sia africani che italiani in più occasioni. Per tutti la paura è stata palpabile, compresi i ristoratori costretti anche ad offrire in prima persona una prima accoglienza. E l'incubo che domani possa esserci un altro Kabobo è sempre più reale.

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