Coronavirus

Il grido dei pronto soccorso: "Al collasso, servono caschi"

Cortellaro, primario del Dea del S. Carlo: "I respiratori curano un terzo dei pazienti Covid, ma non bastano"

Il grido dei pronto soccorso: "Al collasso, servono caschi"

Che il contagi siano in costante crescita si è iniziato a percepire mercoledì notte nei pronto soccorso della città, che hanno visto un numero di accessi superiore a quello dei giorni precedenti. Nella maggioranza dei casi, infatti, eliminati i codici verdi e bianchi, che sono calati del 40 per cento (tenendo conto anche che il 75 per cento degli accessi ai pronto soccorso sono considerati accessi impropri), arrivano pazienti con insufficienza respiratoria, che vengono trattati come Covid.

Se di solito al reparto di emergenza urgenza dell'Asst Santi Carlo e Paolo, infatti, l'1-3 per cento degli accessi è un codice rosso, ora sono il 10 per cento, raddoppiati i «codici gialli» passati dal 15 al 30 per cento. Tra Pronto soccorso e altri reparti c'è una specie di catena di montaggio: a mettere in ginocchio le urgenze è il «boarding», ovvero lo stazionamento dei pazienti da ricoverare nell'ambito del dipartimento di emergenza per la mancanza di una appropriata possibilità di collocazione ospedaliera. Quello che accade in sostanza è che se quasi tutti i pazienti che arrivano in pronto soccorso, ad eccezione di quelli «dedicati» ovvero gli hub regionali per particolari patologie come grandi traumi, ustioni o emergenze neurologiche, manifestano insufficienza respiratoria, non potranno essere ricoverati in terapia intensiva o semi intensiva, perché già piene.

Tutti gli ospedali sono sull'orlo del collasso, ovvero tutti i posti letto che si è riusciti a ricavare, «mettendo un attacco per l'ossigeno nell'ultimo angolo disponibile del reparto» per dirla con le parole dell'assessore Gallera, sono occupati, il rischio è che si «intasi» il pronto soccorso. Al San Carlo 21 codici rossi sono in attesa di ricovero.

Francesca Cortellaro, direttore dell'area emergenza urgenza del San Carlo spiega: «Il numero dei codici rossi è esorbitante: per liberare il pronto soccorso, in modo che possano accogliere le nuove urgenza abbiamo bisogni di potenziare continuamente le terapie sub intensive per la respirazione con il Cpap (ventilazione non invasiva con casco), che permette nel 20/30 per cento dei casi di curare i pazienti Covid. Per quello che abbiamo potuto vedere, infatti il casco evita a molti pazienti di finire in terapia intensiva. Si parla sempre della carenza di dispositivi di protezione individuale ma quello che manca e che abbiamo visto essere utilissimo sono i caschi». Ieri ne sono arrivati una cinquantina all'ospedale, «noi ne usiamo 20/30 al giorno». Settimana prossima il presidio dovrebbe aprire atri 10 posti letto, che sembrano però non bastare mai, e dire che a Milano il contagio è in aumento, ma non è esploso.

Stesso discorso arriva dal Grande ospedale Niguarda, hub regionale per trauma maggiore, stroke e emergenze neurochirurgiche: dei 130 accessi al giorno al reparto, 110 sono per Covid.

Circa la metà richiede ventilazione non invasiva quindi con il casco, o la semplice somministrazione di ossigeno.

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