La guerra negli occhi di vincitori e vinti

Le foto in bianco e nero degli italiani e a colori degli americani raccontano la fine del secondo conflitto mondiale Rivelando due stati d'animo opposti

La guerra è finita, War is over!, fa strano dirlo in questi tempi assediati, dove la guerra è tutta intorno a te, nell'aria che respiri, una guerra invisibile che non finirà mai, che si trasforma come un camaleonte. War is over! è una mostra, bellissima, che ci riporta nella guerra degli eserciti l'un contro l'altro armati, quella del sangue, del sudore e delle lacrime, o meglio della fine della seconda guerra mondiale, dallo sbarco alleato in Sicilia alla resa dei nazifascisti nell'aprile 1945. L'Italia della Liberazione, ma vista da due sguardi opposti, attraverso le fotografie scattate dagli americani liberatori, quelli dei Signal Corps, e dagli italiani dell'Istituto Luce, perduti nel futuro che verrà: 140 immagini selezionate una più emozionante dell'altra che faranno bella mostra di sé divise in dieci sezioni da oggi, inaugurazione alle 18.30, al 10 aprile, negli spazi espositivi di Forma Meravigli, in via Meravigli 5. (Mercoledì, venerdì, sabato e domenica 11-20; giovedì 12-23; lunedì e martedì chiuso. Ingresso 8 euro, ridotto 6). Due facce della stessa medaglia ma mai così diverse, figlie di due stati d'animo oltre che di due tecnologie, gli italiani in bianco e nero, cupi, malinconici, spaventati ma non arresi, con una segreta, invincibile voglia di vivere; gli americani a colori, e non solo perché potevano permettersi il photocolor, la forza prepotente di chi sa di essere il più forte, il mondo nuovo che verrà. L'iniziativa porta la firma di Gabriele D'Autilia e Enrico Menduni, che già aveva curato uno strepitoso docufilm su Guido Notari, la voce dell'Istituto Luce e della Settimana Incom, il microfono della propaganda mussoliniana e dell'Italia che rinasce. È da lì che arriva parte del materiale, dall'Istituto Luce, il resto è produzione dei Signal Corps, cinegiornali e Combat film compresi. Sono immagini bellissime, ma anche dure, che trovano tenerezze improvvise dove non ti aspetti e rivelazioni dove non ti immagini. Nei corpi c'è la Storia: quello del soldato americano che posa fiero con le cartuccere e il vessillo dell'Artiglieria, la guerra che si fa quasi manifesto cinematografico, o immagine neorealista come quella del soldato italiano che beve inginocchiato l'acqua torbida del fiume durante la campagna di Grecia. Non più fotografie che sembrano dipinti, ma dipinti che sembrano fotografie, come quello delle tre donne che pregano in un sussurro, vestite di nero, l'interno di una chiesa sventrato dalle bombe, cancellata dalla censura di regime come molte delle foto esposte, epurate perché letali per il morale di truppe ormai allo sbando. Gli americani scrutano negli occhi, nei gesti, nei visi dell'umanità che hanno intorno, gli sfollati che si imbarcano ad Anzio e i civili che sul Lago di Garda si godono una gara di motonautica, perché è la guerra in dirittura di arrivo e il futuro ha fretta di arrivare. Tra le sezioni: «Amore in guerra», il sentimento che vince anche dove l'umanità perde, i primi baci, i ragazzi che restano ragazzi anche nella tragedia; «Resa dei conti» dove i protagonisti sono i processi, gli interrogatori, la giustizia, la vendetta crudele e a volte cieca; «Vincitori e vinti», la morale della favola, il mondo che non sarà più lo stesso, la Conferenza di Potsdam dove le grandi potenze ridisegnano il pianeta e un Mussolini stanco, finito, consapevole del destino che lo aspetta.

Ci saranno, a differenza di Roma, anche alcune fotografie che hanno Milano come protagonista e filmati, uno dei quali monta insieme la folla che corre all'ultimo discorso di Mussolini, dicembre 1944, al teatro Lirico e la folla che corre, solo quattro mesi, al suo scempio a piazzale Loreto. Una mostra che riempie gli occhi e il cuore che va imparata a memoria come una lezione. Perché come diceva Clemenceau: «Non so se la guerra è un interludio durante la pace o la pace un interludio durante la guerra».

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