Una coppia di stranieri - moldava lei, egiziano lui - ben integrata nel nostro Paese. Si amano. Vivono nell'hinterland milanese. Il loro sogno più grande: avere un figlio. Quando lei scopre di essere incinta di una bimba, la felicità ha il profumo del fiore che sboccia.
Marito e moglie si rivolgono alla Mangiagalli, la clinica milanese che sta alle partorienti come lo stadio «San Siro» ai calciatori. La futura mamma viene ricoverata. L'operazione va bene. Lacrime di gioia.
Ma proprio quando quel fiocco rosa appeso sulla porta della culla dell'ospedale pare voler confermare l'aforisma del Premio Nobel per la letteratura Rabindranath Tagore («Ogni bambino che nasce ci ricorda che Dio non è ancora stanco degli uomini»), ecco succedere una cosa incredibile. Una donna ecuadoregnatenta di rapire la neonata, bloccata in extremis dalla madre mentre la folle sta fuggendo per le scale con la bambina tra le braccia.
Signora, ci racconti quei momenti drammatici
«Ero con la mia bimba. Una sconosciuta si è avvicinata e mi ha detto: Devo prendere la piccola per portarla a fare un controllo medico. Ho risposto che potevo portarla io, al che lei ha replicato: No, tu rimani qui. Penso io alla bambina. E così l'ha presa dalla culla, avviandosi per le scale».
E poi?
«Ho capito che quella non era un'infermiera. C'era qualcosa di strano nel suo comportamento, nel suo modo di parlare. Ho cominciato a urlare. Chi era attorno a me ha capito la situazione e ha bloccato la donna quando dal secondo piano era già arrivata al primo, e si stava avviando verso l'uscita».
La responsabile è stata denunciata. Si dice che voglia chiedere perdono?
«Perdono? Ma non scherziamo. Solo Dio può perdonarla per quello che ha fatto».
Dai primi riscontri pare che la donna fermata abbia problemi psichici.
«Quando una persona commette qualcosa di grave, si tira sempre fuori la storia che è pazza o depressa».
È indubbio però che quella donna vivesse una situazione familiare particolarmente problematica e che avesse abortito da poco.
«Il suo comportamento non ha giustificazioni. E il fatto che tutto si sia compiuto all'interno di un ospedale, rende questa tragedia ancora più grave».
Eppure la «Mangiagalli» è un'eccellenza della sanità.
«Peccato che il puerperio sia sempre nel caos: gente che va, gente che viene, senza il minimo controllo, senza il minimo filtro».
Signora, come sta? Ha superato lo choc?
«Mentre le sto parlando, sono qui, ancora alla Mangiagalli, per fa una visita alla bimba. Ho il terrore di percorrere di nuovo quello stesso corridoio. La scena di quella donna che porta via mia figlia è un incubo che mi perseguita».
Suo marito cosa dice?
«Quando gli hanno comunicato la notizia del tentato rapimento, era fuori Milano. Si è precipitato in auto rischiando di fare un incidente. Anche lui era sconvolto. Continuava a domandare: Come può accadere una cosa simile in un ospedale?. Alla fine ci siamo abbracciati. Tutti e tre. Io, lui e la nostra bimba. La piccola non si accorta di nulla, ma noi genitori abbiamo vissuti attimi terribili».
Cosa avete intenzione di fare?
«Io e mio marito siamo d'accordo su un punto: quello che è accaduto a noi non può e non deve succedere mai più in futuro. Anche per questa ragione abbiamo deciso di andare in fondo alla faccenda. L'ospedale deve essere un luogo sicuro. Chi ha sbagliato è giusto che paghi».
Auguri a lei, a suo marito e alla vostra bimba.
«Grazie».
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