Hayez val bene un Courbet Capolavori italiani dell'anima

Alle Gallerie d'Italia una grande mostra celebra i maestri del nostro Ottocento. Tra paesaggi e ritratti

Mimmo di Marzio

«I ritratti devono rendere quanto più è possibile un'idea morale della persona». In questo aforisma, decantato nell'ideologia Del Bello del conte Cicognara, è ben riassunto il senso dell'ultima grande mostra inaugurata dalle Gallerie d'Italia e dedicata al Romanticismo. Un ideale, quello romantico, radicato nella cultura umanistica di un'Italia che vede incarnati nel risorgimento ottocentesco alcuni dei suoi simboli: Alessandro Manzoni dei Promessi Sposi, Giuseppe Verdi del Nabucco, il Francesco Hayez del celebre «Bacio». Malgrado l'impetuosa Weltanschauung di reazione all'illuminismo ebbe le maggiori punte nella Mitteleuropa - nella pittura come nella musica e nella letteratura - lascerà il segno l'esposizione curata da Fernando Mazzocca, e per almeno due ragioni. La prima è quella di aver dato giusta enfasi a quegli artisti italiani che, principalmente nel Lombardo Veneto ma anche a Torino e a Napoli, seppero esprimere con maestria tecnica e forza emotiva i nuovi ideali individualità e verità interiore; se non al pari ma quasi, di grandi maestri come Friedrich, Turner, Courbet, Füssli, Delacroix e Gericault. Il secondo merito è quello di aver individuato e sottolineato, con diligente scientificità, le varie anime che agitarono il movimento romantico nella Penisola. Tante anime per un'unica comune necessità: quella di attingere all'infinito, sentimento leopardiano che mise a nudo i limiti del «lume della ragione». Ecco allora che anche filoni dominanti come quello del paesaggio come nuovo ideale rapporto tra l'uomo e la natura, viene rappresentato attraverso un percorso tematico che mette in luce aspetti differenti. Come l'iconografia della «finestra sull'infinito» che, traendo spunto dalla lezione di Friedrich, sottolinea l'opera di artisti come il vedutista veronese Giuseppe Canella. In un'altra sezione distinta, ecco invece le suggestioni atmosferiche dei paesaggisti piemontesi, come Giovanni Battista De Gubernatis e Giuseppe Pietro Bagetti, artisti che «santificarono» la natura anche nelle sue cattedrali montuose, in primis le Alpi, memorabile topos della letteratura romantica. A svettare, è il caso di dirlo, due spettacolari vedute della Sacra di San Michele. Un'altra sezione mette in luce il contributo dei paesaggisti lombardi, come Luigi Basiletti, Marco Gozzi e Giuseppe Bisi, le cui pallide pianure vengono messe a confronto con l'opera un caposcuola francese come Jean Baptiste Corot. Non manca una sezione dedicata ad un altro topos, ovvero il paesaggio reso eroico da rappresentazioni storiche o mitologiche, quale metafora degli ideali risorgimentali. Dal Piccio a D'Azeglio al veneto Caffi, ecco un nuovo genere di paesaggio che tuttavia non rinuncia allo scientifico studio del vero. Alle immagini crepuscolari e lunari di Biagetti, si contrappone il gioioso luminismo della Scuola di Posillipo che vide nella capitale del Regno delle due Sicilie un grande fermento di artisti italiani e stranieri, volto a celebrare le bellezze di Partenope. La sezione dei napoletani, sui cui spiccano le vedute di Giacinto Gigante, ha inizio da uno splendido paesaggio del Lago d'Averno di Turner.

Nella grande esposizione di oltre duecento opere, che si estende anche alle sale del Poldi Pezzoli, non può mancare un'ampia sezione dedicata al ritratto-specchio dell'anima, e una rassegna di capolavori dei più grandi protagonisti di un genere che forse più di tutti metteva i sentimenti dell'uomo al centro del mondo. In testa a tutti, Francesco Hayez, non a torto giudicato uno dei più grandi ritrattisti di tutti i tempi.

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