«I 16 anni in carcere? Sono volati»

«I 16 anni in carcere? Sono volati»

Signora, sono stati lunghi questi anni?
«No. Sono volati via, in fretta. Io mi sento ancora giovane, come se fossi uscita ieri».
Ieri mattina, aula del tribunale di Sorveglianza. Si incrociano destini di gente di ogni tipo, razza, censo. Ognuno di loro è stato condannato per un reato, e sta finendo di espiare la sua pena. Anche Patrizia Reggiani Martinelli sta finendo. Diciassette anni fa, in una chiara alba di gennaio, la arrestarono per avere ordinato l'uccisione di suo marito. Non era un marito da poco: Maurizio Gucci, bello e spaccone, il Gucci delle borse, dei gioielli, dei profumi. Un colpo alla schiena, per abbatterlo, uno alla nuca, per finirlo.
Da allora questa minuta signora della Milano bene, dall'aria lievemente svagata, ha vissuto in galera. Ma non ha perso lo charme e lo chic.
Una volta scrissero che all'offerta di uscire dal carcere per andare a lavorare rispose: «Non ho mai lavorato in vita mia e non intendo cominciare adesso». Disse davvero così? «Ma no! Hanno tutti equivocato. Mi hanno fatto delle robe su Gioia, su Gente, “La signora rifiuta di andare a lavorare”, ma non è così. É che era una scomodità, scusate... io devo mettermi nella condizione di andare con il vento, la pioggia, eccetera, quando sono a San Vittore tranquilla?». E d'altronde in cella stava bene, «potevo andare tutti i giorni in giardino, e tenevo il furetto in cella. Tutte le nuove che arrivano erano avvisate, “alla cella dodici c'è un furetto”, e tutte venivano lì, per curiosità». Le ore, a San Vittore, passavano così, tra le passeggiate con la piccola puzzola e le letture: ovviamente «leggevo legal thriller».
Adesso andrà a lavorare da Bozart, dall'amica Erminia Manca, di cui era cliente nella vita precedente, quando al fianco di Maurizio sbarcava il lunario tra Saint Moritz e la Costa Azzurra. E, se il tribunale di sorveglianza accoglierà la sua domanda di affidamento, farà anche lei la volontaria alla Caritas. Si chiude così il noir che portò a Milano i giornalisti di tutto il mondo, e che costrinse gli investigatori a frugare sulle piste più disparate, fin quando un giorno arrivò una soffiata, e si scoprì che la verità era lì, a portata di mano, banale e assurda al tempo stesso: la vendetta di una donna abbandonata, che anziché annegare i suoi rancori in una vita di lusso si fece travolgere dalle passioni e dai cattivi consigli.
Questo almeno dicono le sentenze: perché lei, ancora ieri, mentre aspetta di incontrare i giudici di sorveglianza, dice che Maurizio Gucci non lo ha fatto uccidere lei. É innocente, signora? «Sono non colpevole». Qual è la differenza? «Provi a pensarci». E arriva il suo avvocato Danilo Buongiorno a spiegare che al massimo è un problema di rimorso per gli sbagli fatti, per le cattive compagnie «che hanno rovinato la sua e tante vite»: insomma per essersi circondata di una corte di fattucchiere, balordi, profittatori.

La Reggiani dice che fu lì, in quell'improbabile cerchio magico, che nacque l'idea di ammazzare Gucci per poi ricattare lei. Chissà se è vero, chissà se no. In entrambi i casi, buon per Patrizia che il tempo le sia volato.

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