Un Garibaldi alle spalle della scrivania e appoggiato sul tavolino l'Edgar Lee Masters dell' Antologia di Spoon River . Fuori lo stesso caldo d'agosto di quel primo giorno da prefetto di Milano due anni fa. In mezzo quella volta in cui disse di sperare che proprio Milano potesse tornare a essere quel «laboratorio di avanguardie culturali che ho conosciuto appena arrivato, dopo la laurea a Pisa, nel 1975». La parola più pronunciata è Stato. E anche nel tono la «s» è decisamente maiuscola. Ma anche diritto e diritti.
Prefetto Francesco Paolo Tronca, che anni sono stati?
«Estremamente densi per le complessità affrontate».
A Milano è capitato di tutto, dall'Expo all'invasione dei black bloc.
«C'è stata l'Expo, ma anche l'Asem, l'Asia-Europe Meeting. Si muovevano oltre sessanta delegazioni tutte insieme e non si sono viste zone bloccate, sirene spiegate o motociclisti in piedi con la paletta a bloccare il traffico».
Almeno l'Expo è diluita in sei mesi.
«Anche questa è una difficoltà. Un'Olimpiade dura solo diciotto giorni».
Più i mesi con la criminalità organizzata all'assalto degli appalti.
«Forse non è stato proprio un assalto, ma le interdittive per le imprese che tentavano di infiltrarsi sono ben ottantanove. E non è ancora finita. Ogni grande evento e tutte le grandi opere smuovono appetiti di varia natura».
L'Expo di Milano doveva diventare un modello per la lotta agli affari sporchi.
«Sicuramente una decisa svolta di metodo. La squadra interforze organizzata qui in prefettura ha cambiato un'amministrazione pubblica che non ha più un compito meramente burocratico di rilasciare certificati».
E invece?
«Un lavoro certosino di incrocio delle banche dati su una piattaforma informatica. E le tecniche più moderne che ci hanno consentito di individuare le imprese da bloccare».
Può raccontare come si fa?
«Ci sono i reati spia che mettono sulla pista giusta. E poi ho disposto controlli nei cantieri, anche di notte. Se c'è un camion intestato a un'azienda che sta a mille chilometri, qualche dubbio viene. Forse che non ce ne sono camion qui in Lombardia? Oppure gruppi di operai tutti di un unico paesino: magari è il caso di approfondire».
La piattaforma informatica?
«Riuscire a cambiare un solo numero nella data di nascita può consentire di sfuggire ai controlli sui precedenti, ma incrociando diverse banche dati si trova tutto. La rete creata ha le maglie molto piccole».
Nella rete sono finite anche grosse aziende.
«Straordinario è il metodo del commissariamento che consente di non demolire l'asset aziendale, permettendo a chi lavora di continuare ad avere uno stipendio e a noi di bonificarle. E senza rallentare i lavori»
Come agisce la criminalità?
«È molto cambiata. Oggi le organizzazioni non vanno più in cerca dei grandi appalti, ma di quelli più piccoli perché sperano di sfuggire ai controlli che sono sempre più sofisticati».
Un bilancio che la soddisfa?
«Soprattutto essere stati apripista anche grazie al lavoro fatto con il presidente dell'Autorità anticorruzione Raffaele Cantone. La pubblica amministrazione deve svolgere un'attività antimafia preventiva perché anche questo è un modo estremamente efficace per combattere la mafia».
C'è stata anche corruzione.
«C'è spesso un legame tra corruzione e infiltrazione mafiosa, anche se poi in posti importanti ci sono i corrotti e basta che non hanno bisogno di collegamenti con la mafia. Oggi bisogna essere molto determinati nel combattere sia la mafia che la corruzione. Ora basta».
Proprio durante l'Expo, Milano è finita nei giornali di tutto il mondo per i profughi accampati in stazione.
«Ci sono stati momenti duri e il fronte immigrazione è tutt'ora aperto».
La fase più acuta è passata?
«No».
Milano è una città a rischio?
«Oltre ai profughi assegnati dal ministero, deve affrontare il fenomeno parallelo dell'immigrazione di transito che riguarda siriani ed eritrei».
Come si affronta questa emergenza che sembra non dover mai finire?
«I prefetti sono la spina dorsale del sistema Stato. Devono saper utilizzare al meglio tutte le sinergie che può offrire il territorio. Il fenomeno si affronta necessariamente tutti assieme».
La soluzione però non è così semplice.
«È sempre più necessario contemperare il dovere di rispettare la legalità, che non è mai negoziabile, con il diritto della collettività a non subire disagi. Ma anche dei migranti a ricevere un'accoglienza dignitosa, nel rispetto dei diritti dell'uomo».
Qual è il ruolo del prefetto?
«Cercare il giusto punto di equilibrio, il che non significa scendere a compromessi. E lo deve fare sfruttando la propria esperienza e seguendo la sua coscienza. Assolutamente scevra da condizionamenti di qualunque tipo. E a maggior ragione dalle polemiche».
Tra caccia ai voti e lotte ideologiche, non si rischia di perder di vista le soluzioni?
«Il prefetto è al di sopra delle parti. E in questo sta tutta la sua forza».
Si sta creando un conflitto piuttosto aspro tra i prefetti e i sindaci dei piccoli centri a cui vengono assegnati numeri di profughi difficilmente sostenibili.
«Non ho mai imposto ai sindaci situazioni non accettate. O che non potessero essere sopportate».
Ma le tensioni sociali rischiano di crescere.
«Bisogna diffondere una cultura della legalità, e questo è scontato, ma anche dell'ascolto. Un prefetto deve ascoltare tutti, anche gli ultimi e non solo le classi dirigenti. Il discorso vale però in generale: oggi si parla troppo e non si ha più la capacità di ascoltare gli altri».
Andrà in vacanza?
«C'è l'Expo. Le vacanze si possono fare anche a novembre».
Che effetto le ha fatto la Milano devastata dai black bloc il Primo maggio?
«Ho dedicato tutta la mia vita al servizio dello Stato e quello per me è un giorno molto importante perché Milano ha saputo dimostrare un grande senso di civiltà, coscienza civica e rispetto della legalità».
È rimasta sfregiata?
«Erano qualche centinaia di casseur venuti anche dall'estero a mostrare i muscoli a uno Stato che con autocontrollo e coraggio ha dimostrato di avere intelligenza e muscoli molto più sviluppati».
Una vittoria dello Stato?
«Una grande vittoria in quei caschi e tute nere abbandonate in tutta fretta per strada. La sconfitta di quel nulla che voleva avanzare e invece si è dovuto fermare di fronte allo Stato».
Ma anche una vittoria di Milano.
«Milano è tutti i milanesi che il giorno dopo sono scesi in strada a cancellare immediatamente quei simboli. Non ne hanno voluto lasciare traccia nemmeno in una sola, piccola strada della città».
Si discute di moschee da costruire.
«La Costituzione al suo articolo 3 parla di eguaglianza e per la Repubblica la libertà religiosa è un diritto fondamentale».
C'è molta diffidenza nei quartieri dove potrebbero nascere le moschee. È soltanto una percezione di insicurezza?
«Se c'è una percezione di insicurezza, sta alle istituzioni trasformarla in percezione di sicurezza. Il cittadino ha ragione quando rivendica il diritto a sentirsi sicuro».
Come si fa?
«Facendo vincere la legalità e dimostrando che lo Stato c'è. Che lo Stato c'è sempre».
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