Maria SorbiArtiom è nato quattro mesi fa in Moldavia. E se vivrà lo dovrà all'associazione Bambini cardiopatici nel mondo e allo staff medico di Alessandro Frigiola. In questi giorni il bimbo è stato ricoverato all'ospedale San Donato per essere preparato a un delicatissimo intervento al cuore che subirà fra qualche mese. Un'operazione che nessuna struttura di Chisinau è attrezzata per supportare e che nessun medico moldavo si azzarda a fare. Nel suo paese il piccolo Artiom è stato dato per spacciato (e ha già subito un intervento all'intestino). I suoi genitori, dopo aver visto scuotere la testa a parecchi medici, non si sono arresi e hanno deciso di tentare di tutto. Grazie ai parenti che vivono in Italia, si sono imbattuti nell'associazione di Frigiola e la loro speranza si è riaccesa. Per Artiom non è detta l'ultima parola. Il bimbo è stato portato in Italia a spese della onlus, altrimenti mai la sua famiglia avrebbe potuto permettersi di sostenere le spese del viaggio. «La nostra preoccupazione - racconta la mamma - era che Artiom non sopravvivesse nell'attesa del viaggio o che non lo superasse. Qualunque cosa succeda ora sono felice, perché so che per il nostro piccolino abbiamo fatto qualsiasi cosa possibile». Il destino del neonato si è intrecciato a doppio filo con quello del nuovo progetto dell'associazione, «Cuori in emergenza». Si tratta di un progetto messo a punto da poco per portare i bambini cardiopatici in Italia e operarli nei nostri ospedali. Negli ultimi mesi infatti l'associazione, che da sempre svolge la sua attività umanitaria in Africa e in Medio Oriente, ha parecchie difficoltà ad operare in loco. Le guerre interne ai Paesi, la minaccia del terrorismo e la crisi internazionale hanno ostacolato le missioni negli ospedali locali. Parecchie volte gli staff di cardiologi e cardiochirurghi hanno dovuto rinunciare al viaggio perché non c'erano le condizioni di sicurezza necessarie: a Damasco, a Duhok in Kurdistan, in Egitto. Fino a poco tempo fa i medici riuscivano a organizzare missioni quindicinali per programmare interventi al cuore dei bimbi nel mondo e per formare il personale medico locale. Oggi è impossibile. Pur avendo rapporti stretti con governi e altre organizzazioni umanitarie internazionali, non esistono più certezze sulla fattibilità di interventi certi. Tuttavia i chirurghi non restano con le mani in mano. E accoglieranno al policlinico San Donato i piccoli pazienti provenienti dai paesi «a rischio», sostenendo spese di viaggio e soggiorno, di operazione e degenza.
L'idea è quella di portare in Italia il maggior numero possibile di bimbi entro la fine dell'anno. Per questo è partita la campagna di raccolta fondi. Le richieste di intervento arrivano da camerun, Tunisia, Senegal, Marocco, Est Europa.I medici «del cuore» pagano il viaggio ai bambini malati
Le missioni all'estero sono troppo pericolose Gli interventi verranno eseguiti tutti in Italia
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