Stefano Zurlo
Dagli scintillanti padiglioni dell'Expo ai forzieri di Cosa nostra nel cuore della Sicilia. Il consorzio Dominus, al centro dell'inchiesta condotta dai pm Paolo Storari e Sara Ombra, era il bancomat delle famiglie di Partanna e Pietraperzia. Non è un'ipotesi ma una realtà sconvolgente, provata già il 23 ottobre scorso quando un illustre penalista, l'ex presidente della Camera penale di Caltanissetta Danilo Tipo, viene fermato in autostrada: nel bagagliaio della sua Fiat 500 ci sono 295 mila euro in contanti, divisi in 25 buste di plastica chiuse in un sacco nero. Quei soldi provengono dai subappalti e dai contratti di Expo ottenuti da Dominus e quel denaro è destinato ai padrini. Tipo, fra le 11 persone arrestate ieri, si giustifica: «Sono parcelle in nero», ma gli investigatori delle Fiamme gialle non gli credono. E seguono, anche attraverso un labirinto di conti esteri, i flussi che alimentano gli Accardo di Partanna, in provincia di Trapani, e la famiglia di Pietraperzia, vicino Enna. In particolare, il gip Cristina Mannocci nell'ordinanza di custodia sottolinea la «forte vicinanza fra gli Accardo e la famiglia di Castelvetrano Messina Denaro». Quella, per intenderci, del capo dei capi, l'inafferrabile Matteo Messina Denaro.
Come tutto ciò sia potuto accadere è l'ennesimo mistero italiano. Ci sono le regole, pure troppe, la compliance, i codici etici, poi alla fine le istituzioni e le società pubbliche, in questo caso la Nolostand, vanno a braccetto con gli emissari di Cosa nostra e con il loro inguardabile campionario di prestanome, fondi neri, cartiere che smerciano false fatture.
La procura, almeno per ora, procede con i piedi di piombo e in conferenza stampa Ilda Boccassini ripete: «Questa non è un'inchiesta su Expo o su Fiera Milano». E però lei stessa parla di «superficialità, negligenza, sciatteria» da parte degli incauti dirigenti di Nolostand.
Un comportamento colposo, non doloso, almeno sul piano penale. E così la sezione misure di prevenzione del tribunale si coordina con i giudici e, con un provvedimento firmato dal presidente Fabio Roia, mette un suo uomo alla guida di Nolostand. E' un commercialista e si chiama Piero Antonio Capitini: nei prossimi mesi controfirmerà tutti gli atti della società. Poi, a novembre, si vedrà.
Al momento, l'amministrazione giudiziaria, invasiva ma fino a un certo punto, è lo strumento più adatto per mettere una pezza ad una situazione indecorosa.
Ma il quadro potrebbe evolversi e più volte, nel corso dell'incontro con i giornalisti, Ilda Boccassini e il procuratore capo Francesco Greco mettono le mani avanti: «Sono in corso numerosi accertamenti e sono in corso numerose rogatorie in diversi Paesi».
Le sorprese potrebbero non essere finite. In ogni caso si scopre che due soggetti vicini a Cosa Nostra, Liborio Pace e Giuseppe Nastasi, avevano messo le mani sui lavori di montaggio e smontaggio di alcuni padiglioni. I due, altro dettaglio da non sottovalutare, vengono arrestati per una sfilza di reati, compreso il riciclaggio, ma sono formalmente indagati anche per associazione a delinquere di stampo mafioso.
E verranno analizzati i loro dialoghi con i dirigenti di Nolostand.Come Enrico Mantica che nel corso di un colloquio captato a bordo di un'Audi A4 dice una frase tutta da interpretare sul presidente dell'Anac Raffaele Cantone: «Li ha messi tutti in fila».
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.