Imbrattare la memoria mortifica Piazza Fontana

A 43 anni dalla bomba, cortei antagonisti contro banche e vetrine tra slogan, scritte sui muri, acqua rosso sangue e solite intolleranze

Imbrattare la memoria mortifica Piazza Fontana

Il dramma di questa nostra povera Italia è di avere troppo spesso la testa e lo sguardo drammaticamente rivolti all'indietro. E passi che ad avere poca o nessuna visione del futuro siano professori impolverati o politici dalla carta d'identità terribilmente datata. Molto più grave è quando questa endemica tendenza alla retrovisione mortifica lo slancio creativo che ci dovremmo aspettare dai giovani. Non che la memoria non vada difesa, per carità. Soprattutto quando racconta di morti innocenti e di carni e vite sfregiate dalla viltà di carnefici rimasti impuniti. E ancor più grave se su tutto aleggia il sospetto di una complicità dello Stato.

Perché nessuno nega che i nostri tempi di nani debbano almeno poggiare sulle spalle di un passato diverso, se non da giganti. E che ferite ancora aperte come la strage di piazza Fontana meritino il dovuto ricordo. Ma sono passati 43 anni da quel terribile 12 dicembre 1969 e vedere oggi ragazzini quattordicenni scendere in piazza, suscita legittimi dubbi. Perché allora non solo non c'erano loro, ma forse in qualche caso non erano nati nemmeno i genitori di quegli studenti che ieri non sono andati a scuola per partecipare a una manifestazione organizzata dai collettivi studenteschi tra fumogeni e Bella ciao sparata a palla da un furgone.

Perché non si capisce proprio cosa c'entri il ricordo legittimo di quella terribile strage che diede avvio alla strategia della tensione, con l'ormai solito scontato rito dell'imbrattare i muri e le vetrine delle banche. E non solo. Perché anche questa volta quelli che amano definirsi «antagonisti» hanno imbrattato con la vernice spray e le «A» dell'anarchia le vetrine della filiale del Monte dei Paschi di Siena che ha preso il posto della Banca Nazionale dell'Agricoltura. Quella delle drammatiche immagini in bianco e nero dove trovarono la morte diciassette innocenti e in novanta rimasero feriti. E non si capisce cosa c'entri lo striscione appeso all'esterno di Palazzo Marino con scritto «Chiudere i covi neri». O le uova lanciate contro la sede Unicredit di corso Matteotti, gli imbrattamenti alla Banca popolare in piazza Meda. E poi fumogeni, i petardi lanciati o l'acqua della fontana colorata di rosso in piazza san Babila dalla vernice dei militanti della Rete studenti che hanno anche appeso dei volantini davanti a un negozio in Galleria Vittorio Emanuele che secondo loro apparterrebbe a Delfo Zorzi. Poi il solito ritocco alla lapide in memoria di Giuseppe Pinelli dove a «morto innocente» è ancora una volta stato sostituito «assassinato».

Tutti riti ormai vecchi e stanchi. Ma soprattutto organizzati a favor di telecamera, sperando di finire nelle immagini dei telegiornali della sera, ma con il rischio di far perdere significato anche alla legittima richiesta di conoscere il nome dei responsabili di quello scempio.

«Quel giorno a Milano, nel centro della nostra città - ha detto ieri il sindaco Giuliano Pisapia per commemorare l'anniversario -, la nostra democrazia ha subito una ferita profondissima che ancora oggi non si è rimarginata». Per il governatore Roberto Formigoni su Twitter «il dolore e lo sdegno restano». Quarantatrè anni e Milano ha ancora la stessa voglia di giustizia.

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