Mimmo di Marzio
Riecco sul palco «Raiz», leader storico degli Almamegretta, la band divenuta celebre alla fine degli anni Novanta per aver saputo fondere testi e melodie napoletane con i ritmi reggae e l'elettronica anglosassone del trip hop. Dopo scorribande da solista tra nuovi generi musicali, ma anche teatro e cinema, Gennaro Della Volpe (questo il suo vero nome) torna a esibirsi al Carroponte di Sesto San Giovanni con il gruppo con cui ha iniziato.
Raìz, perchè ha scelto questo nome d'arte?
«Ebbi l'idea in Sicilia, dove i capi delle tonnare vengono chiamati raìs. E siccome anche allora sull'isola si parlava di fare il ponte sullo Stretto mi dissi: ecco, vorrei identificare la mia arte con un ponte, un ponte tra le culture».
E non a caso intitolò il gruppo Almamegretta, che da un dialetto tardo-latino significa anima migrante. Un concetto, quello della migrazione, un po' pericoloso ultimamente...
«La migrazione è sempre esistita ed esisterà sempre, pensare di combatterla è utopistico. Le differenze rappresentano un valore quando esiste un dialogo culturale vero, lo so anch'io che sono figlio di emigranti napoletani e sono cresciuto nella provincia lombarda. Alzare i muri è inutile, esistono più italiani all'estero che dentro i nostri confini, e la stessa italianità nasce da humus creato da genti che arrivarono qui da tutte le zone geografiche, arabi, ebrei, normanni. La storia si può fermare? Io dico di no».
La sua musica ha sonorità che arrivano un po' dalla Jamaica, un po' dal Medioriente e un po' dall'Inghilterra dove ha avuto collaborazioni determinanti con «Daddy G» dei Massive Attack e Stewart Copeland dei Police. Quanto è importante viaggiare per fare arte oggi?
«È fondamentale e internet non basta: viaggiare fisicamente è l'unico strumento per intingersi davvero in una cultura diversa dalla tua e apprendere. Oggi in rete puoi noleggiare tutta la musica che vuoi. Quand'eravamo ragazzi noi, invece, per comprare un disco magari si doveva partire per Londra. Più scomodo, certo, ma che bellezza».
Poi ha scoperto l'ebraismo, addirittura ha cantato dei brani in ebraico. Fa sempre parte delle migrazioni?
«In questo caso si è trattato di una sorta di ritorno alle radici, una risveglio spirituale verso quella che era la religione dei miei nonni. Mi considero ebreo - mia moglie è per metà israeliana - ma sono fermamente contrario a qualsiasi forma di integralismo. Il valore che più mi sta a cuore è stare insieme agli altri e se un amico mi invita a cena me ne frego se non si mangia kosher».
Anche perchè nella sua carriera la vera costante è il rapporto con Napoli. È vero che ha cominciato cantando nei matrimoni come Nino D'Angelo?
«Sì e non me ne vergogno. Allora non esisteva X-Factor e Napoli è sempre stata comunque, anche nel pop, una fucina di maestri. A cominciare proprio da Nino D'Angelo, un grande amico che è stato al mio fianco in almeno due dischi. Il brano più famoso degli Almamegretta, Sanacore, fu inciso con la partecipazione straordinaria di Giulietta Sacco (l'Amalia Rodrigues napoletana). Chi me la portò in sala di registrazione? Nino».
E Pino Daniele?
«Se D'Angelo è stato un maestro di melodie, Pino ci ha insegnato un'attitudine artistica, è stato il primo a dimostrare le sinergie tra le sonorità afroamericane e la musica napoletana. E se lui ha dialogato con il blues e il jazz-rock, noi l'abbiamo fatto con il reggae e l'elettronica».
E la politica? In passato gli Almamegretta sono stati accostati all'ambiente dei centri sociali.
«Siamo stati invitati spesso a suonare su determinati palchi per i nostri contenuti antirazzisti, antisessisti e antisciovinisti, ma abbiamo sempre rifiutato l'etichetta di musicisti militanti. Personalmente oggi vedo un grande decadimento e imbarbarimento, con una politica mondiale che anche a livelli alti ha sdoganato il razzismo e il machismo. Si sentono dire frasi fino a pochi anni fa impensabili e si attaccano gli stranieri per non guardare i veri mali che affliggono la nostra società».
Il suo volto è sempre più accostato al cinema. Dopo «Passione» di John Turturro, sono arrivate le parti in «Aspettando il Sole» di Ago Panini e «Ammore e malavita» dei Manetti Bros. Prevede un futuro sul set?
«Mi piacerebbe, anche se le parti guappesche che ho recitato finora mi riuscivano abbastanza naturali. In realtà ho fatto anche cinque anni di teatro con la compagnia Koreja in un progetto su Brecht».
Con la sua faccia era perfetto anche per Gomorra...
«Infatti ho partecipato ai provini, ma alla fine non mi hanno preso perchè puntavano, giustamente, su volti totalmente inediti».
Lei è anche tifoso del Napoli. Come vede il sorteggio di Champion's?
«Fetentissimo (ride). Ma scendere in campo contro mostri sacri come il Paris St. Germain sarà anche divertente. Ce la giocheremo».
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