Cronaca locale

"Io, Puma di Lambrate canto la mia storia in una Milano blues"

La star venerdì sera in concerto al San Babila «I miei pezzi a teatro, un ascolto più intimo»

"Io, Puma di Lambrate canto la mia storia in una Milano blues"

«Questa città? È blues nei quartieri, nella sua storia, nell'anima. La sua colonna, per me, è un pezzo che ho scritto, Windy City, dedicato pure a Chicago, gemellata proprio con Milano». E ancora, «chi tratta male le donne, chi picchia i bambini, chi non rispetta l'ambiente non è gente a cui piace il blues. Che invece piace alle persone che fanno solidarietà, si impegnano, hanno qualcosa da dire». Il «Puma di Lambrate», l'arcinoto nome di battaglia di Fabio Treves, ruggisce ancora, eccome. E venerdì sera, al Teatro San Babila, nell'ambito del mini-festival «Milano Blues Sessions» (3 e 4 maggio con Billy Branch) lo farà con la sua band, e da veterano dell'armonica. Il «live» fa parte anche del tour per il suo 70esimo anno. Una vita in musica.

Treves, cosa ha in serbo per il concerto milanese?

«Il live sarà quello classico degli ultimi tempi, cercando di ripercorrere un po' la storia, il mio repertorio. Il blues è una musica popolare a tutti gli effetti, che fa riflettere, con contenuti profondi; dai pezzi anni '50 a quelli che si avvicinano al rock. Un genere senza tempo, a volte in radio trasmetto brani che hanno persino 90 anni».

Poi c'è quello attuale...

«Il blues è sempre attuale, parla della vita. Chi non ha avuto tristezze. Ma è pure passione, incontro, amicizia. Ci sono tanti tipi di scritture in blues».

Ma questo genere suonato nei teatri funziona?

«C'è un altro tipo di atteggiamento. Non è la serata ballabile, all'aperto. È un'altra maniera di ascolto, di raccoglimento. Ci si può lasciare andare a un tipo di proposta più intimo. Qualche anno fa ho fatto un disco che si intitola proprio Blues in Teatro».

Le piace parecchio stare sul palco...

«Sono uno dei pochi musicisti che preferiscono il rapporto con il pubblico, i concerti. Il mio marchio di fabbrica è portare sempre più giovani ad ascoltare questa grande musica».

La sua vita è un romanzo: quali i ricordi più belli?

«Ce ne sono tanti. Ricordo l'abbraccio di Bruce Springsteen, l'aver suonato due volte col genio di Baltimora, Frank Zappa. Poi le tante collaborazioni con la mia armonica, da Branduardi a Mina a Vecchioni».

Come vede la sua città?

«Milano per la diffusione della musica è cambiata in meglio, ci sono maggiori possibilità, più spazi. Mi piacerebbe però che ci fossero ancora più iniziative gratuite all'aperto, per la gente; un bel festival dedicato al blues. Comunque la città è diversa, basta vedere quanti turisti ci sono».

Niente difetti?

«Forse, a volte, noto poco rispetto. Ci vorrebbe più riguardo per l'ambiente, per i muri, per le strade. Ci vorrebbe maggiore educazione civica».

La sua squadra del cuore...

«Sono sempre stato milanista, al contrario di prima adesso sono un tifoso che soffre. La prerogativa del Milan è la grinta, per questo mi piacerebbe vedere una ripresa, una reale rifondazione. San Siro è San Siro, se no non lo chiamavano la Scala del calcio».

Che cosa farà Fabio Treves da grande?

«Voglio continuare, come ho fatto sino a oggi, a portare nel mondo il blues. Per i giovani, per il pubblico, per i miei fan».

Vuole menzionare qualcuno?

«Tra i fan tanta gente di tutti i tipi. Vado forte pure tra i cabarettisti, da Leonardo Manera a Raul Cremona. A Zelig mi sento a casa, forse perché avrei voluto anche io fare un po' il cabarettista».

Il blues ha ancora da dire?

«Certo, non smette mai di stupire.

Un esempio: i Rolling Stones, per i 50 anni di carriera, hanno voluto fare un disco di blues, cover, è stato un successo incredibile».

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